Tra meno di sei mesi alle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina ci saranno 116 competizioni in 16 diversi sport, tutti su neve o ghiaccio: due superfici complicate, difficili da trovare o portare nelle giuste condizioni. Alle Olimpiadi di Los Angeles del 2028 saranno assegnate medaglie in oltre 50 gare acquatiche tra nuoto, pallanuoto, tuffi e nuoto artistico. L’acqua è stata in qualche modo presente in ogni edizione delle Olimpiadi estive, e le prime Olimpiadi dedicate a sport invernali furono oltre un secolo fa.

Hanno invece avuto molta meno diffusione – e conseguente scarsa fortuna olimpica – gli sport che si svolgono sulla sabbia: una superficie assai più semplice e diffusa del ghiaccio ed “estiva” per eccellenza, eppure quasi del tutto assente nella storia delle Olimpiadi estive. A parte il beach volley e in misura minore il beach soccer (la pallavolo e il calcio da spiaggia) tutti gli altri sport sulla sabbia restano ancora piuttosto di nicchia, varianti minori e piuttosto recenti degli sport a cui si ispirano. Di certo non aiuta il fatto che siano noti come “sport da spiaggia”, un luogo in cui lo sport ha in genere aspetti ricreativi, estetici e sociali prima e ben più che puramente competitivi e agonistici. Forse c’entra il fatto che siano quasi tutti sport giovani, che ancora devono crescere, affermarsi e trovare i loro spazi all’interno di importanti competizioni internazionali.

Tra gli sport da spiaggia il beach volley è un’eccezione, lo sport che ce l’ha fatta, l’esempio virtuoso da seguire e se possibile emulare. Spesso se ne fa risalire l’origine all’inizio del Novecento da qualche parte sulle spiagge delle Hawaii o della California. All’inizio fu una semplice variante della pallavolo (uno sport ideato a fine Ottocento dall’insegnante di educazione fisica William G. Morgan); negli anni – soprattutto nella seconda metà del Novecento – si è fatto le sue regole e da passatempo da spiaggia è riuscito a diventare un apprezzato sport olimpico.

È stato ammesso alle Olimpiadi nel 1992 come sport dimostrativo, e dal 1996 come sport ufficiale: le presenze olimpiche del beach volley sono state spesso spettacolari e fotogeniche. A Sydney 2000 si giocò sulla spiaggia di Bondi Beach, a Rio de Janeiro 2016 su quella di Copacabana e a Parigi 2024 sotto la Tour Eiffel. Per Los Angeles 2028 si era parlato di Santa Monica, ma alla fine il beach volley sarà sulla spiaggia di Long Beach.

Una partita del torneo olimpico di beach volley, il 9 agosto 2024 a Parigi (Matthew Stockman/Getty Images)

Negli ultimi decenni il beach volley, che si gioca 2 contro 2, ha sviluppato le sue peculiarità e i suoi schemi, ma resta comunque una versione della pallavolo, con tre tocchi per squadra e l’obiettivo di evitare che la palla tocchi terra nel proprio campo. Un segno dell’emancipazione del beach volley dalle spiagge sta nel fatto che sempre più spesso si vedono giocatori e giocatrici da paesi non granché forniti di spiagge sabbiose: a livello maschile le ultime due Olimpiadi sono state vinte da Svezia e Norvegia.

Fabio Galli, responsabile organizzativo del settore Beach Volley per FIPAV (la Federazione Italiana Pallavolo, di cui il beach volley è tra le discipline), spiega che «senza contare il beach volley spontaneo» (quello non ufficiale) in Italia ci sono almeno 800 tornei all’anno con «circa 20mila tesserati che giocano regolarmente». Spesso si tratta di persone che giocano sia a pallavolo che a beach volley, ma sono comunque numeri rilevanti. Il campionato nazionale va da giugno a settembre, quando per comprensibili ragioni si concentra la maggior parte delle attività, ma Galli ci tiene a precisare che «grazie ai molti campi al chiuso si gioca tutto l’anno in tutta Italia».

Tra chi prova a replicare il successo del beach volley ci sono diversi altri sport da spiaggia, quasi tutti una rielaborazione o un adattamento di un originale su altra superficie. Si giocano su sabbia il beach basket (che fa ovviamente a meno dei rimbalzi a terra), il beach rugby, il beach polo (sì, con i cavalli), il beach ultimate (con un frisbee) e il beach handball, la pallamano sulla sabbia.

Una partita di beach handball agli Asian Beach Games, nel 2010 a Muscat, in Oman (Ryan Pierse/Getty Images)

A metà strada tra il beach volley e questi sport oggettivamente ancora piuttosto marginali c’è il beach soccer, il calcio sulla sabbia, giocato in cinque per squadra (è in genere una costante trovare squadre con meno giocatori o giocatrici rispetto alla variante tradizionale). È nato in Brasile e si è diffuso in America prima che in Europa, motivo per cui si chiama “soccer” (come è noto il calcio negli Stati Uniti) anziché “football”, come lo chiamano gli inglesi. Anche il beach soccer nacque come attività ricreativa per poi strutturarsi come vero e proprio sport. Dal 1995 ne esistono i Mondiali, spesso vinti dal Brasile, e dal 2005 di beach soccer si occupa in modo diretto la FIFA, l’organizzazione che regola e governa il calcio mondiale, e che si sta muovendo per farlo diventare sport olimpico insieme con il calcio a 5.

Una rovesciata, il gesto per eccellenza del beach soccer, ai Mondiali del 2017 a Nassau, Bahamas (Dean Mouhtaropoulos – FIFA/FIFA via Getty Images)

In Italia il beach soccer è regolato dalla LND, la Lega Nazionale Dilettanti, che si occupa anche del calcio a 5. Il campionato di Serie A, arrivato alla 21esima edizione, è iniziato a maggio ed è finito in questi giorni: in finale ha vinto il Pisa contro il Catania.

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Oltre alle bocce e ad altre versioni da spiaggia di sport non di squadra (per esempio la lotta libera su sabbia), c’è poi il beach tennis. In Italia il beach tennis è regolato dalla FITP, la Federazione Italiana Tennis e Padel, che con oltre un milione di tesserati è seconda solo al calcio.

Una partita di beach tennis agli ANOC World Beach Games del 2019 di Doha, in Qatar (Mark Runnacles/Getty Images for ANOC)

Secondo la FITP il beach tennis moderno «fonda le sue radici sulle spiagge delle coste italiane» dove fu codificato intorno agli anni Settanta come evoluzione dei racchettoni: un gioco con le racchette, non proprio uno sport. Negli anni Novanta se ne uniformarono regole e dimensioni – si gioca due contro due, su un campo da 16×8 metri e con una rete di 1 metro e 70 centimetri – e negli anni Duemila lo sport entrò a far parte delle federazioni tennistiche: a livello mondiale il beach tennis è regolamentato e gestito dal 2008 dall’ITF, la Federazione Internazionale Tennis. Esiste anche, giusto per fare un po’ di confusione, una peculiare versione del tennis tradizionale giocata su sabbia (molto battuta) anziché su terra, erba o cemento.

Tra beach volley, beach soccer e beach tennis ci sono diversi punti in comune. Sono tutti un’evoluzione e un adattamento a una nuova superficie di sport già esistenti, nati spontaneamente secondo il principio che potesse essere divertente giocarci in spiaggia, e meno problematico cadere o buttarsi rispetto ad altre superfici. I campi sono più piccoli per questione di spazi, ma anche perché correre e saltare su sabbia è più complicato e faticoso rispetto a farlo su erba o in una palestra.

Una partita dimostrativa di beach rugby a Covent Garden, Londra, Inghilterra, nel 2009 (Matthew Lloyd/Getty Images)

Questi tre sport da spiaggia sono uniti da una cultura sportiva rilassata e da un’estetica estiva: non si arriva ai livelli del surf, che è un movimento culturale tanto quanto è uno sport, ma si è da quelle parti. E tutti e tre questi sport sono stati aggregati, affiliati o associati a grandi federazioni di cui sono solo una piccola parte. Sul sito della FITP è scritto: «Il Beach Tennis è una costola della Federazione Italiana Tennis e Padel, pur mantenendo una sua individualità all’interno della stessa».

Queste considerazioni restano valide per quasi ogni sport da spiaggia che si prenda in considerazione. Anche il foot volley, una sorta di pallavolo giocata però con i piedi, è per esempio a sua volta una versione su sabbia di un corrispettivo non-su-sabbia, che esiste in più versioni: il sepak takraw di origine thailandese, o lo sport noto in Italia come calcio tennis o all’estero come “football tennis” o futnet.

Una partita di sepak takraw nel 1991 a Malibu, in California (Mike Powell/Allsport/Getty Images)

Nel 2015 l’analisi “Diving into the Sand” presentata per il CIES, il Centro Internazionale di Studi di Sport, parlò degli sport da spiaggia come capaci di attrarre praticanti e spettatori nuovi e più giovani e li definì «for the cool by the cool» («fighi e da fighi»).

Una descrizione forse non particolarmente cool, che però rende l’idea: certe federazioni non da spiaggia li vedono come un modo per raggiungere, senza troppo impegno o senza investimenti particolarmente grandi, nuovi luoghi e nuovi pubblici.. O che, più semplicemente, preferiscono inglobarli anziché rischiare di doverne soffrire la futura concorrenza.

Per gli sport da spiaggia è praticamente una costante: si affermano come gioco (spesso con difficoltà nell’individuare con precisione un dove, un quando e un chi), si evolvono in sport codificando una serie di regole e, più o meno in quel momento, entrano nelle federazioni nazionali e internazionali che si occupano della versione tradizionale di quello sport. Un’entrata che spesso fa bene: passarono solo dieci anni dall’ingresso del beach volley nella FIVB (la Federazione internazionale della pallavolo) al suo debutto alle Olimpiadi del 1996. E anche quando esistono associazioni internazionali di sport da spiaggia, stanno in genere sotto o all’interno di altre federazioni più radicate e potenti: BSWW, Beach Soccer World Wide, è per esempio un’associazione affiliata alla FIFA.

Un altro aspetto evidenziato dall’analisi del 2015 che ancora resta valido è che «molti sport da spiaggia hanno molto più in comune tra di loro di quanto non abbiano con le loro versioni tradizionali». Nonostante questo, forse per via degli interessi dei singoli sport tradizionali e delle federazioni che li regolano, è piuttosto raro vedere eventi multisportivi da spiaggia e casi di rilevanti collaborazioni tra diversi sport da spiaggia.

Un piccolo caso di collaborazione è quello tra FIPAV e FIB, la Federazione italiana bocce, per «la promozione, il potenziamento e la valorizzazione», all’interno di eventi di beach volley, del beach bocce, le bocce su sabbia: gli eventi frutto di questa collaborazione si chiamano “Schiaccia&Sboccia”.

Per quanto riguarda i grandi eventi internazionali, fatta eccezione per beach soccer e beach tennis (che comunque devono vedersela con la concorrenza interna di calcio a 5 e padel), al momento è difficile pensare a sport da spiaggia che possano arrivare alle Olimpiadi. E a livello internazionale gli eventi in parte o addirittura interamente dedicati agli sport da spiaggia sono piuttosto rari e in genere non di grande richiamo.

Gli sport da spiaggia si sono visti a un evento internazionale organizzato nel 2024 a Rio de Janeiro, in Brasile, dalla FISU, la Federazione internazionale sport universitari. Ci sono i Giochi del Mediterraneo sulla spiaggia (i più recenti sono stati nel 2023 a Creta, in Grecia), che oltre agli sport da spiaggia ne hanno alcuni in acqua e altri ancora né da spiaggia e né in acqua.

La lotta libera su sabbia, il beach handball e il beach volley saranno presenti ai Giochi olimpici giovanili del 2026, un evento organizzato direttamente dal CIO, il Comitato Olimpico Internazionale. Il beach handball è anche tra gli sport scelti per i World Games, le Olimpiadi degli sport non olimpici, che così come i Giochi olimpici giovanili sono talvolta un’anticamera delle Olimpiadi.

Un incontro di lotta libera su sabbia agli Asian Beach Games del 2008 a Bali, Indonesia (Mark Dadswell/Getty Images)

Sono esistiti – e forse ancora esistono – gli ANOC World Beach Games, i Giochi mondiali sulla spiaggia: un evento internazionale dedicato appunto agli sport da spiaggia (oltre ad altri che si svolgono in acqua). L’evento è organizzato dall’ANOC, l’Associazione internazionale dei comitati olimpici. La prima edizione fu nel 2019 a Doha, in Qatar, con oltre mille atleti da quasi 100 paesi. La seconda ancora deve svolgersi: si sarebbe dovuta tenere a Bali, in Indonesia, nel 2023, ma fu annullata all’ultimo. Ancora non c’è niente di certo su un’eventuale prossima edizione dell’evento.

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