Come si legge nel comunicato del 25 luglio dell’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, «con la sentenza n. 132, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente, ndr) sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione. Il giudizio era stato instaurato da una persona affetta da sclerosi multipla, la quale, trovandosi nelle condizioni indicate dalla sentenza numero 242 del 2019 per l’accesso al suicidio medicalmente assistito (irreversibilità della patologia, sofferenze intollerabili, consenso libero e consapevole, essere tenuto in vita da trattamento di sostegno vitale, ndr) versava nell’impossibilità di procedere all’auto somministrazione del farmaco letale, in quanto priva dell’uso degli arti, a causa della progressione della malattia, e non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all’attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca o gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia».
La questione è stata dichiarata inammissibile perché il ricorso «non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva le ragioni della reperibilità di un dispositivo di auto somministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti».
La Corte ha inoltre concluso la sentenza dichiarando che la persona che ha i requisiti previsti dalla sentenza 242/2025 sopra ricordati «ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego».
Come noto, il tema del fine vita è da alcuni anni di grande attualità anche in Italia, tanto che dal 2019 a oggi ci sono state ben cinque sentenze della Consulta e tra queste due negli ultimi due mesi. Vi è però una evidente differenza tra la sentenza 132/2025 e le precedenti. Ben consapevole della straordinaria importanza del tema del fine vita, nelle quattro precedenti sentenze (242/2019, 50/2022, 135/2024, 66/2025), la Corte costituzionale, oltre a pronunciarsi sulle questioni poste nei vari ricorsi, ha fatto emergere due principi fondamentali: non esiste il diritto a morire, il diritto alla vita è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo, in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri, e da questo discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire.
Nulla di tutto questo c’è nella sentenza 132 del 25 luglio scorso. Non solo, ma è evidente che la Corte, con questa sentenza sta di fatto dettando al legislatore quanto deve essere scritto nella legge. Ciò è quanto meno discutibile. L’unico legislatore è il Parlamento che deve, ovviamente, attenersi ai principi della Consulta custode della nostra Costituzione. Ora dobbiamo auspicare che il Parlamento riprenda e concluda il percorso appena iniziato e dia al Paese una legge sul fine vita pienamente conforme ai due principi sopra enunciati.
Tra i principi che il legislatore deve osservare, il primo è quello del diritto-dovere alla cura e alle cure palliative, anche come strumento per evitare non solo la richiesta di aiuto al suicidio, ma la stessa decisione di ricorrere al suicidio. Per questo motivo sono indispensabili la riorganizzazione e il rafforzamento del servizio sanitario nazionale pubblico nelle sue articolazioni territoriali e organizzative realizzando concretamente i principi della sentenza 135/2024 e delle leggi 38/2010 e 219/2017. Per tale scopo sono necessari veri finanziamenti come scritto ripetutamente nelle sentenze sopra citate. Va anche valorizzato l’indispensabile apporto del volontariato specificatamente dedito all’accompagnamento e alla cura del sofferente.
Per il resto è necessario suggerire che la nuova normativa preveda:
◆ un organo o struttura pubblica locale incaricato delle verifiche delle condizioni e delle modalità di esecuzione che rendono non punibile l’aiuto al suicidio e che fornisca anche ogni informazione tecnica ritenuta necessaria;
◆ un organo collegiale terzo, “munito di adeguata competenza” che garantisca la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità, per esprimere un parere necessario ma non vincolante. A normativa vigente tale organo è il Comitato etico territorialmente competente, ma potrebbe essere anche identificato in un organo collegiale diverso che abbia le medesime caratteristiche di terzietà.
Inoltre, tenendo presente che il rifiuto consapevole di idratazione e alimentazione porta in breve tempo alla morte del paziente, appare necessario suggerire l’ inserimento, come comma 2 bis dell’ art. 2 della legge 219/2017 , di una disposizione del seguente tenore : “ Nell’ambito del percorso di cura di cui agli art. 1 e 2 della legge 219/2017 e degli art. 1 e 2 della legge 38/2010, al fine di alleviare le sofferenze della persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (TSV) e affetta da patologie irreversibili fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, il medico può ricorrere, con il consenso del paziente in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, anche fino alla sedazione palliativa profonda continua in associazione alla terapia del dolore”. Diventerebbe così pleonastica ogni discussione relativa all’aiuto al suicidio e all’eutanasia.
In conformità ai principi enunciati chiaramente dalle 4 sentenze sopra citate (242/2019, 50/2022, 135/2024, 66/2025) deve essere chiaro che al diritto al suicidio non debba corrispondere un dovere dello Stato di organizzare un servizio di partecipazione “attiva” al suicidio anche per escludere ogni problematica relativa all’obiezione di coscienza. Il vero obbligo costituzionale fondamentale (vedi Costituzione art. 2, 3, 32) è la garanzia della cura, e in particolare delle cure palliative, per ogni persona sofferente in qualsiasi condizione si trovi.
Parallelamente nel Paese deve diffondersi la convinzione che nella stragrande maggioranza dei casi di persone sofferenti, sono l’abbandono e la mancanza di cure appropriate che fanno apparire la morte come unico rimedio alla sofferenza. La strada da percorrere è stata indicata dasan Giovanni Paolo II: «Accanto all’uomo che soffre occorre la presenza di un altro uomo».