In Piemonte si continuano a prescrivere antibiotici ad ampio spettro con troppa leggerezza. A lanciare l’allarme sono le Asl, i dati ufficiali e persino la Corte dei Conti. Eppure, nonostante i richiami, gli obiettivi fissati e le promesse istituzionali, nessuno sembra in grado – o disposto – a fermare questa deriva.
I numeri parlano da soli: il rapporto tra antibiotici ad ampio e ristretto spettro in Italia è di 9,5, già ben sopra la media europea (5,5). In Piemonte, però, la situazione è ancora più grave. L’Asl TO5, che avrebbe dovuto abbassare il proprio rapporto a 10,25 entro il 2024, è salita a 12,57 e nel primo trimestre 2025 ha toccato quota 14,20. Altro che miglioramento: si peggiora.
Solo a Torino, nei primi tre mesi del 2025, sono stati spesi quasi 1,74 milioni di euro per antibiotici ad uso sistemico. Una sola categoria terapeutica che pesa per il 5% della spesa totale del Servizio Sanitario Nazionale. E anche qui, il rapporto tra antibiotici a largo e ristretto spettro ha toccato livelli record: 14,97, ben oltre i limiti.
Il più prescritto? Amoxicillina con acido clavulanico, una molecola potente, sì, ma che rappresenta quasi la metà delle dosi dispensate. È la fotografia di un sistema che punta alla soluzione rapida, trascurando gli effetti a lungo termine.
Il risultato è noto: antibiotico-resistenza. Un fenomeno che cresce da anni e che in Piemonte continua ad essere ignorato. Si usano antibiotici forti anche dove basterebbe un trattamento mirato. Il circolo vizioso è evidente: più uso improprio, più batteri resistenti, più farmaci forti, più spesa. E meno efficacia.
Nel 2024, la Regione Piemonte ha speso 723 milioni di euro per acquisti sanitari, 40 milioni in più rispetto al 2023. Una crescita ritenuta “superiore al previsto” dalla Corte dei Conti. Ma se a crescere è solo il costo, mentre l’efficacia cala, allora il problema è strutturale.
Colpa dei medici? Dei pazienti? Delle istituzioni? Probabilmente un po’ di tutti. Alcuni medici prescrivono “per sicurezza”, senza attendere tamponi o risultati. Molti pazienti interrompono le cure prima del tempo, riutilizzano le confezioni avanzate, o pretendono pillole miracolose per ogni sintomo.
Anche negli allevamenti l’uso di antibiotici è ancora troppo diffuso, contribuendo a diffondere ceppi resistenti che finiscono indirettamente sulle nostre tavole.
Intanto negli ospedali aumentano le infezioni da batteri resistenti come Klebsiella o Escherichia coli. Alcuni casi sono già difficili da trattare con le terapie standard. E le opzioni rimaste si contano sulle dita di una mano.
Le istituzioni continuano a rispondere con linee guida, raccomandazioni e obiettivi sulla carta. Ma senza controlli, senza sanzioni, senza un cambio di passo concreto, queste restano buone intenzioni.
Servono azioni vere: formazione continua, controlli sulle prescrizioni, penalità per chi non rispetta i protocolli, e campagne rivolte ai cittadini. Perché il rischio, se non si interviene ora, è quello di trovarsi presto a combattere infezioni comuni con farmaci che non funzionano più. E allora sì, sarà troppo tardi.