Per la prima volta dall’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, tre anni e mezzo fa, il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin si incontreranno venerdì 15 agosto in Alaska. La posta in gioco del vertice è alta. Quale potrà essere l’esito? Kiev e i suoi alleati europei sono scettici. E hanno tutte le ragioni per esserlo.

Putin ha diversi motivi per rallegrarsi della prospettiva di questo vertice bilaterale, il primo con gli Stati Uniti dal 2018. Esce dall’isolamento diplomatico in cui lo aveva confinato il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra. È trattato come il leader di una grande potenza, alla pari con gli Stati Uniti. È riuscito – per ora – a tenere alla larga il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyj, che ha incontrato una sola volta nel 2019 a Parigi, in Francia, e di cui conserva un pessimo ricordo.

L’ultimatum posto alla Russia dal presidente Trump e la minaccia di nuove sanzioni che lo accompagnava sono stati sospesi grazie a questo vertice. Il capo del Cremlino sa che Trump è ansioso di sbandierare un cessate il fuoco in Ucraina e pensa di avere, se saprà muoversi bene, un’occasione per raggiungere per via diplomatica ciò che non riesce ancora a ottenere militarmente: il controllo, almeno parziale, dell’Ucraina.

Sia con l’amministrazione Biden sia con quella guidata da Trump, gli europei sono sempre stati trattati come un elemento trascurabile in questa vicenda, anche se in gioco c’è la sicurezza del loro continente. Oggi, però, sono loro a fornire la maggior parte degli aiuti economici e militari all’Ucraina. Il vicepresidente statunitense JD Vance ha perfino dichiarato a Fox News che non è più il caso che i cittadini statunitensi finanzino la difesa dell’Ucraina.

Non appena è stato annunciato il vertice in Alaska, Zelenskyj ha chiamato in soccorso i leader europei. I principali hanno reagito esigendo la partecipazione del presidente ucraino a qualsiasi tentativo di soluzione del conflitto e ricordando alcuni principi di base che tracciano una sorta di linea rossa: l’inviolabilità delle frontiere e, nell’ipotesi di un compromesso negoziato con l’Ucraina, garanzie di sicurezza solide per Kiev, tali da dissuadere Mosca dal riprendere l’offensiva.

pubblicità

In realtà, anche se non sono invitati al vertice, gli europei non sono esclusi dal processo. Trump ha consultato alcuni leader del continente, JD Vance ha avuto un incontro con i suoi rappresentanti, Steve Witkoff, l’inviato speciale di Trump, ha risposto alle richieste di chiarimenti sul suo quinto colloquio con Putin, quello del 6 agosto, che è stato ed è ancora fonte di grande confusione.

Le cose si muovono e continueranno a muoversi fino a venerdì. Putin ha colto l’irritazione di Washington, ha notato la pressione esercitata sull’India per aver comprato petrolio russo e non vuole rompere con Trump. Ha quindi evitato di ribadire a Witkoff le sue rivendicazioni massimaliste sulla “denazificazione” e la smilitarizzazione dell’Ucraina, limitandosi alle questioni territoriali. Se gli statunitensi sono ingenui, gli europei, scottati, non lo sono, o almeno non lo sono i leader decisivi tra di loro. Resta poco tempo per convincere Washington che solo la linea della fermezza e di una maggiore pressione può portare Putin a una vera trattativa. Il momento è cruciale, se si vuole trasformare la trappola dell’Alaska in un’opportunità.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo.
Scrivici a: posta@internazionale.it