di
Davide Frattini
Samir Hulileh potrebbe piacere sia a Netanyahu sia a Trump – e avrebbe l’ok della Lega araba. Dietro di lui si muove l’oscuro lobbysta Ari Ben-Menashe, che nel suo progetto menziona (non a caso) lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale scoperti nel 2000 al largo della Striscia
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – La chiama «diplomazia ombra» e lascia che l’oscurità si estenda al suo personaggio fino a lasciar credere di essere (di sicuro lo è stato) una spia. Perché l’ambiguità funziona con i clienti dell’autocrazia globale, spesso dittatori africani, pure la giunta militare in Myanmar: richiedono i servizi di Ari Ben-Menashe che promette contatti con i potenti occidentali, di aprire le porte sigillate dalle sanzioni, se non un invito nei salotti buoni almeno un incontro a luci soffuse nella stanza accanto.
Nato in Iran da una famiglia di ebrei iracheni, un passaggio nell’intelligence militare israeliana, vive in Canada e da lì prova a esercitare pressioni sui governi che ancora lo ascoltano, opera come lobbysta registrato ufficialmente negli Stati Uniti, anche se gli americani restano sospettosi dopo un suo coinvolgimento laterale nello scandalo Iran-Contra e le teorie della cospirazione attorno a Jeffrey Epstein che Ben-Menashe non manca di sbandierare.
Adesso sarebbe lui – svela l’organizzazione «Shorim», Guardiani – il promotore dell’operazione per far emergere un imprenditore palestinese dalla melassa burocratica dell’Autorità palestinese e spingerne la candidatura a governatore di Gaza alla fine della guerra che non finisce. Samir Hulileh rappresenterebbe quella figura di tecnico che può star bene al governo di Benjamin Netanyahu e alla Casa Bianca.
Economista, è amministratore delegato della più grande società di investimento palestinese, ha ricoperto qualche ruolo politico ma non troppo visibili perché Netanyahu lo consideri un simbolo dell’Autorità: il premier israeliano ribadisce di non voler lasciare il controllo della Striscia al presidente Abu Mazen e ai suoi.
Ben-Menashe ha raccontato a «Shorim» – vuole promuovere la democrazia attraverso le inchieste giornalistiche – che il piano è sostenuto dalla Lega Araba e prevederebbe il dispiegamento di forze americane e arabe nel territorio, l’ottenimento dalle Nazioni Unite le garanzie di uno statuto speciale, un aeroporto e un porto in Sinai messi a disposizione degli egiziani.
Hulileh suona più cauto, ammette di aver assunto l’israelo-canadese e avverte che «il primo passo fondamentale è ottenere un cessate il fuoco», dice di vedersi più come manager che governatore, il supervisore dei progetti di ricostruzione: «Serviranno almeno 53 miliardi di dollari». Uomo d’affari che non ha mai indossato una mimetica, è consapevole che lo sforzo più complesso sarà riportare l’ordine nei 363 chilometri quadrati.
Hulileh esclude la presenza armata dell’Autorità palestinese e pretende il disarmo di Hamas. Così fa contento Netanyahu senza però indicare chi garantirà la sicurezza della popolazione ridotta allo stremo e vessata dalle bande.
L’analista Gabriel Mitchell si chiede come mai la storia attorno alla candidatura di Hulileh sia emersa proprio ora. «È evidente che ci sono diverse iniziative, anche private, per provare a influenzare il futuro di Gaza. Gruppi che si considerano concorrenti».
I miliardi della ricostruzione sono un incentivo a muoversi e posizionarsi in fretta, Ben-Menashe menziona nel progetto anche lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale al largo della Striscia: scoperti nel 2000, mai sviluppati per le guerre cicliche e le divisioni tra Hamas e l’Autorità di Ramallah.
12 agosto 2025 ( modifica il 12 agosto 2025 | 15:35)
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