di
Massimo Gaggi
Nessuno conosce il patrimonio di Trump, né quanto paghi di tasse: ma il puntiglioso settimanale statunitense ha calcolato, punto per punto, quanto le sfacciate mosse di Trump e del suo clan abbiano portato nelle tasche del tycoon da quando è presidente. Il risultato? Miliardario
A quanto ammonta il patrimonio di Trump? Nessuno lo sa: le stime fatte da Forbes e dal New York Times al momento del suo insediamento alla Casa Bianca variano dai 5 ai 10 miliardi di dollari.
Quante tasse ha pagato? Anche su questo il mistero è fitto visto che l’imprenditore entrato in politica per portare trasparenza e «drenare la palude», ha sempre rifiutato di pubblicare la dichiarazione dei redditi come hanno fatto tutti i suoi predecessori. Probabilmente per nascondere che di tasse ne ha pagate pochine, alla luce delle ripetute dichiarazioni di bancarotta e dalla tendenza della Trump Organization a sottostimare il patrimonio e amplificare le perdite nei documenti inviati al Fisco (mentre, come è emerso nei processi, quando chiedeva prestiti alle banche seguiva la linea opposta, minimizzando le perdite ed esaltando il patrimonio).
Può, allora, apparire un esercizio acrobatico quello della rivista New Yorker che ha provato a calcolare quanto The Donald e la sua famiglia si stanno mettendo in tasca sfruttando gli enormi poteri del presidente degli Stati Uniti a fini di arricchimento privato: la rivista, mettendo insieme i profitti da criptovalute, quelli degli affari finanziari e immobiliari generosamente accettati dai sovrani degli Stati del Golfo, i doni come il jumbo jet regalato a Trump dall’Emiro del Qatar, i guadagni da merchandising di oggetti col logo MAGA, gli indennizzi ottenuti da imprese (da Meta ad Amazon passando per Disney e Paramount) che temevano vendette del presidente e altro ancora, arriva a stimare che da questo secondo mandato presidenziale Trump trarrà profitti per 3,4 miliardi di dollari.
Cifra esagerata? Sottostimata? Il punto non è questo: si tratta comunque di guadagni enormi. Nessun altro presidente della storia americana si è messo in tasca anche solo un centesimo di una simile somma.
Il caso di Trump è straordinario non solo per le dimensioni e la sua unicità, ma anche per la sfacciataggine dei suoi protagonisti: tutto fatto alla luce del sole coi figli di Trump, Donald Jr. ed Eric, che si vantano di questi arricchimenti.
Un tempo, soprattutto con la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, si sentiva dire che con un miliardario al governo quantomeno non ci sarebbe stato da preoccuparsi di politici che cercano di arricchirsi con la gestione della cosa pubblica, visto che sono già straricchi.
Trump non solo ha capovolto questo assunto, ma arriva a sostenere che proprio l’investitura politica gli dà il diritto di mettere in atto anche le azioni più spregiudicate per arricchire sé e i suoi cari: leggi, regolamenti, norme sui conflitti d’interesse, valgono per le figure pubbliche a lui sottoposte, ma non per il presidente che risponde solo ed esclusivamente agli elettori dei suoi comportamenti. Qui un campanello d’allarme avrebbe dovuto suonare quando la Corte Suprema, un anno fa, ha riconosciuto i presidenti irresponsabili per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Allora, però, ci siamo preoccupato dei possibili reati penali di un presidente – abusi di potere, attentati al funzionamento dei sistema elettorale o altro – non di una possibile «monetizzazione» del potere della Casa Bianca.
Sembrava impensabile perfino per un personaggio spregiudicato come Trump, che già nel primo mandato presidenziale aveva favorito affari immobiliari per la sua organizzazione dalla quale si era separato solo passando temporaneamente la gestione ai figli, trasformare la presidenza in una macchina per fare soldi.
I guadagni di quegli affari immobiliari – dell’ordine delle decine di milioni di dollari – impallidiscono rispetto a quanto stiamo vedendo ora. Ma, a ben vedere, è lì l’origine di tutto: il 17 gennaio 2017, tre giorni prima di insediarsi alla Casa Bianca, ai giornalisti che gli chiedevano quante tasse aveva pagato e come avrebbe neutralizzato i suoi conflitti d’interesse economico, Trump rispose che un presidente è a un altro livello, non è sottoposto a convenzioni di questo tipo. Poi raccontò che in quei giorni emissari venuti da Dubai gli avevano offerto un affare molto conveniente da 2 miliardi di dollari, per ingraziarselo: «Ho rifiutato, non voglio approfittare di simili situazioni, ma avrei potuto accettare, sarebbe stato legittimo».
Nel secondo mandato questi scrupoli sono venuti meno. L’ha spiegato, con squisita sensibilità etica, il primogenito, Donald Junior: durante il primo mandato presidenziale, ha detto, abbiamo evitato di fare certi affari, ma siamo stati attaccati ugualmente. Stavolta, visto che saremmo finiti nel mirino comunque, abbiamo deciso di tirare dritto. Così lui ed Eric hanno girato tra gli emirati del Golfo e nelle conferenze dei criptoinvestitori spiegando che i nuovi fantastici affari di valute digitali più o meno impalpabili avrebbero potuto contare sul sostegno del loro papà che avrebbe provveduto anche a regolamentare e autorizzare.
Quanto il nuovo mondo sarebbe stato diverso si è cominciato a capire tre giorni prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca: venerdì 17 gennaio 2025, in una sontuosa villa di Washington era in corso il Crypto Ball, la festa dei grandi investitori in criptovalute, compresi i big della Silicon Valley. Alle 21, mentre si brindava, l’euforia venne gelata da una notizia battuta dall’agenzia Bloomberg: il neopresidentre aveva appena annunciato il varo di una sua criptovaluta, il $TRUMP con il quale guadagnerà in pochi mesi centinaia di milioni tra emissione e commissioni sulle transazioni. «Così manda tutto in vacca» dissero in molti mentre lo champagne andava loro di traverso.
12 agosto 2025 ( modifica il 12 agosto 2025 | 17:44)
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