Per la Ferrari il 2025 si sta rivelando un annus horribilis. Non tanto per i risultati in senso stretto, bensì per il rapporto rendimento – aspettative e per tutta una serie di dinamiche innescatesi negli ultimi mesi. Sostanzialmente, se c’è un ambito in cui si può prendere una bastonata, quella arriva inesorabilmente. Talvolta anche in maniera inattesa.

Andiamo con ordine. Si parte con ambizioni elevatissime, generate dall’arrivo di Lewis Hamilton e dal finale del 2024, stagione in cui la Scuderia di Maranello contende il titolo costruttori alla McLaren sino all’ultimo. Il Cavallino Rampante vince 3 delle 9 gare successive alla pausa estiva (a fronte delle 2 affermazioni conseguite nei primi 15 GP). Insomma, si era chiuso evidente crescita e si presupponeva di proseguire sulla stessa tendenza positiva.

L’aspirazione è quella di lottare per il titolo iridato in maniera concreta. Le dichiarazioni sono eloquenti. Addirittura c’è chi investe la Ferrari del ruolo di favorita per vincere il Mondiale. Non certo come dominatrice, bensì come concorrente paritetica alla McLaren, il che rappresenterebbe una nuova puntata di una sfida storica, cominciata negli anni ’70 e ripropostasi periodicamente nei decenni a seguire.

Però, a Melbourne, arriva la doccia gelata. Pronti, via, e le monoposto color Papaya sono dove devono essere, al vertice. Viceversa, le Rosse sono lontanissime, a centro gruppo, dietro a tante altre auto. Non è un episodio, ben presto si capisce di essere molto più indietro di quanto si credesse e che, nonostante non lo si ammetta apertamente, la SF-25 rappresenta l’ennesimo progetto in cui è mancato almeno un centesimo per completare l’euro.

Si comincia a lavorare per guarire gli oscuri mali di una monoposto incomprensibile, ma nella F1 attuale nessuno resta fermo. C’è chi corregge e c’è chi evolve. Se si deve colmare una lacuna, non si può inseguire chi comanda. Difatti la McLaren resta davanti. Anzi, amplia viepiù il suo margine sulle avversarie. Nel frattempo il talento di Max Verstappen e il pragmatismo di George Russell consentono a Red Bull e Mercedes di fregiarsi di qualche vittoria di Pirro.

Successi estemporanei, ma comunque legittimi e concreti, destinati a essere “messi a bilancio” nel momento in cui verranno tirate le somme. Il Drink Team e le Frecce d’Argento qualcosa raccolgono, il Cavallino Rampante no. Recupera terreno, si avvicina e finanche scavalca le due avversarie appena citate, ma proprio non vince.

Alla profonda delusione di non essere title contender pur avendone l’ambizione, si aggiunge la frustrazione di non riuscire in nessun modo a imporsi, vedendo contemporaneamente rivali al medesimo livello, o addirittura inferiori, tirare occasionali sospiri di sollievo.

Nel mentre, ne succedono di tutti i colori. Per esempio la doppia squalifica di Shanghai, causata da due ragioni differenti, evento mai capitato a un Team in tutta la storia della F1. Gare anonime, distacchi siderali, occasioni perse per errori (Montecarlo) o misteriosi inconvenienti (Ungheria). La sensazione che vada sempre tutto storto, mentre chiunque altro – a suo modo – pesca dei jolly qua e là.

Soprattutto, viene meno la serenità. Le voci di un siluramento di Frederic Vasseur, il cui contratto viene poi rinnovato; la ciclica insofferenza di Charles Leclerc, trovatosi a vivere per il settimo anno consecutivo le medesime surreali situazioni; i balbettii agonistici di Lewis Hamilton, arrivato con gran clamore, ma le cui evidenti difficoltà di adattamento sfociano in un sorprendente e inquietante monologo di sconforto in Ungheria.

Insomma, tutto sembra disgregarsi. Proprio come si è smaterializzata la prospettiva di vincere il Mondiale 2025, il solito “Castello per Aria”. Ormai, siamo a 18 anni senza titolo piloti e 17 senza quello costruttori. Nel primo caso, si è arrivati a 21 nel periodo tra Jody Scheckter e Michael Schumacher, nel secondo siamo al record negativo assoluto (al massimo ne erano trascorsi 16, tra il 1983 e il 1999).

Annus horribilis, appunto. Perché la Ferrari pensava di poter ottenere tutto e viceversa non sta raccogliendo niente. C’è quantomeno una consapevolezza, ovvero che la seconda parte della stagione non può essere peggiore della prima.

Come detto, ogni mazzo ha i suoi jolly. Prima o poi, anche a Maranello ne pescheranno uno. Resta da capire dove e come, allo scopo di indorare l’amara pillola del 2025 in attesa dell’ennesimo “anno prossimo”. Sperando sia quello buono…