Nel vasto panorama del melodic death metal, pochi nomi evocano la stessa riverenza dei Dark Tranquillity. A distanza di trent’anni dal capolavoro “The Gallery” e di venti dall’intenso “Character”, la band capitanata da Mikael Stanne si prepara a rivisitare in tour due album molto importanti non solo nella propria discografia, ma nella storia stessa del genere. A detta del cantante svedese, non si tratta solo di una semplice operazione nostalgia, ma anche di un’opportunità per reinterpretare, con occhi maturi e una band rinnovata ma affiatata, brani che hanno segnato generazioni di ascoltatori.

In questa intervista, Mikael Stanne ci guida tra ricordi e nuove prospettive, ripercorrendo l’evoluzione del processo creativo all’interno del gruppo, il passaggio di testimone tra i chitarristi e i tanti cambiamenti che hanno visto protagonista il gruppo nel corso degli anni. Ma non mancano riflessioni sulla dimensione attuale della band, sui rapporti umani che resistono al tempo – nonostante i succitati cambi di line-up – e sull’entusiasmo condiviso nell’affrontare un tour celebrativo che guarda al passato senza perdere di vista il presente.
Fra sperimentazione in sala prove, la voglia di sorprendere i fan più fedeli e la possibilità concreta di rivisitare in futuro altri dischi iconici, ciò che emerge è la volontà di mantenere viva una passione autentica.
Come ormai noto, il tour farà tappa anche in Italia, sabato 27 settembre al nostro Metalitalia Festival, per una serata che si preannuncia imperdibile per tutti i cosiddetti die-hard fan della formazione.

Dark Tranquillity – Hall Padova – 01 maggio 2025 – foto Enrico Dal Boni

BENTROVATO! ALLORA, NEL PROSSIMO TOUR PROPORRETE UNA SCALETTA MOLTO DIVERSA DAL SOLITO. NON SIETE MAI STATI UNA BAND CHE GUARDA AL PASSATO – AVETE SEMPRE GUARDATO AVANTI. NON AVETE MAI FATTO COSE COME SUONARE UN INTERO ALBUM PER INTERO, E ANCHE STAVOLTA NON È ESATTAMENTE COSÌ, MA COMUNQUE STATE PREPARANDO QUALCOSA DI DAVVERO SPECIALE. QUINDI, MI CHIEDEVO, COME VI SENTITE AL RIGUARDO?
– Sì, come dicevi, non siamo mai stati nostalgici in quel senso. Non ci siamo mai considerati una di quelle band che dice: “Dai, celebriamo i nostri album storici”. Non ci è mai davvero passato per la testa. Per noi è sempre stato più interessante guardare avanti e suonare materiale nuovo.
Però ci siamo detti: se dobbiamo farlo una volta, allora è il momento giusto. La band ora è in forma, tutti suonano alla grande, e rimetterci a imparare certi pezzi sinora è stato davvero divertente. Abbiamo iniziato ad aggiungere qualche brano più di nicchia alla scaletta durante gli ultimi due tour europei, e questa cosa ha aperto nuove possibilità e ci ha fatto ragionare in modo diverso. È stato davvero stimolante.
Poi con la formazione attuale è anche molto comodo, sai: Pepe, Joakim e Johan sono tutti insegnanti di musica. Quindi quando tra di noi parliamo di un vecchio brano, tipo “Ehi, questo sarebbe bello da suonare!”, loro rispondono “Ok, va bene”. E due settimane dopo lo suoniamo già dal vivo! È divertente lavorare così, e ci ha permesso di scavare nel nostro catalogo e chiederci: “Ma cosa diavolo avevamo in mente quando abbiamo scritto questi brani trent’anni fa?”.

GIÀ, IMMAGINO. ALCUNI PEZZI DA “THE GALLERY” AVRANNO ANCHE VENTI RIFF E CAMBI CONTINUI, DEVONO ESSERE DURISSIMI DA RIMETTERE INSIEME…
– Assolutamente. Anche per me – che c’ero all’epoca – non è facile, perché non li suoniamo da secoli. E sì, sono passati trent’anni. Quindi approcciare questi brani adesso, suonandoli dal vivo… certo, è diverso, sia dal punto di vista emotivo che musicale.
Però una parte di me riesce ancora a ricordare come ci si sentiva allora. Erano tempi eccitanti. Quando scrivevamo “The Gallery” era un’emozione incredibile, perché finalmente riuscivamo a fare quelle cose che fino ad allora avevamo solo sognato. Fino a quel punto avevamo magari le idee, ma non la capacità tecnica per metterle in pratica. Invece, arrivati a “The Gallery”, tutto d’un tratto ci sentivamo di poter fare certe cose davvero.
Era come se ogni possibilità fosse aperta. O almeno così ci sembrava. Eravamo giovani e ingenui, e pensavamo di poter suonare qualsiasi cosa. Ovviamente non era così, ma ci credevamo, e spingevamo al massimo. È stato un periodo entusiasmante.
E poi, sai, vivevamo ancora tutti nei sobborghi di Göteborg, a casa coi nostri genitori. Era un’epoca completamente diversa. Speravi che magari qualcosa potesse succedere, che la band potesse portarti da qualche parte – ma chi lo sapeva? Erano tempi turbolenti, certo, ma eravamo mossi dalla pura passione per scrivere musica e stare insieme. Ci trovavamo nel garage dei miei genitori, cercavamo di capire come scrivere canzoni, suonare sempre più veloce, sempre più tecnico. Era così.
È divertente ripensarci ora. È anche un po’ emozionante, perché sto riascoltando quei brani più e più volte per prepararmi, e mi tornano alla mente tanti ricordi. È stimolante, ma anche difficile.

AVETE MAI TENTATO QUALCOSA DI SIMILE A QUESTA OPERAZIONE PRIMA? OVVIAMENTE NON CI SONO MAI STATI TOUR DI QUESTO TIPO, MA VI È STATO MAI PROPOSTO DI TENERE UNO SHOW SPECIALE A QUALCHE FESTIVAL?
– Una volta sì: abbiamo fatto un set ‘vecchia scuola’ in Messico qualche anno fa, credo una decina ormai.
Però non è stato comunicato nel modo giusto, non era chiaro che sarebbe stato un concerto speciale. La gente è rimasta un po’ spiazzata, e questo ci ha fatto dubitare. Ci siamo detti: “Forse non ha funzionato”.

QUINDI È SOLO UNA QUESTIONE DI COMUNICARLO BENE PRIMA…
– Esatto! Stavolta abbiamo deciso con più chiarezza. E finora, da quanto vedo online o parlo con le persone, c’è tantissimo entusiasmo. È fantastico. Questo scorso weekend, ad esempio, parlavo con alcune persone ai festival, e mi dicevano: “Ormai avevo perso la speranza di riascoltare certi pezzi. Pensavo non li avreste mai più suonati!”. Sono cose che ti fanno pensare di avere preso la decisione giusta al momento giusto.

Dark Tranquillity – Hall Padova – 01 maggio 2025 – foto Enrico Dal Boni

COMUNQUE, COME HAI DETTO ANCHE TU, IN PASSATO QUALCHE ESPERIMENTO È STATO FATTO. AD ESEMPIO, LA SCALETTA DEL FAMOSO CONCERTO A MILANO IMMORTALATO NEL DVD “WHERE DEATH IS MOST ALIVE” CONTENEVA UN PO’ DI VECCHI BRANI. MI RICORDO ANCHE QUALCHE SORPRESA NELLA SCALETTA DEL TOUR CON I KREATOR UNA VENTINA D’ANNI FA….
– Sì, 2005. Mi ricordo che in qualche data suonammo “Of Chaos and Eternal Night”, e la gente impazzì. Ogni tanto vado a controllare su Setlist.fm – è divertente vedere quante poche volte abbiamo suonato certi brani che in realtà adoro. Magari solo quattro o cinque volte. O dieci, in totale. E poi basta. È interessante vedere queste ‘statistiche’.

E OGGI “THE GALLERY” È CONSIDERATO UN PILASTRO DEL MELODIC DEATH METAL. ANZI, DIREI DELLA MUSICA ESTREMA IN GENERALE. MA VOI, ALL’EPOCA, AVEVATE QUALCHE IDEA DI QUALE SAREBBE STATO IL SUO IMPATTO?
– All’epoca, no, ovviamente! Era difficile capirlo. Ma poi, iniziando a fare tour – nel ’95 fu il nostro primo vero tour – e nei due-tre anni successivi, quindi 1996, ’97, ’98, abbiamo cominciato a renderci conto che la gente stava davvero entrando in sintonia con quel tipo di musica. E si cominciava a parlare della ‘scena di Göteborg’ – che all’epoca era ancora una cosa nuova.
Per noi era strano, perché volevamo solo fare qualcosa di originale, di diverso. E invece si diceva: “Tutte le band di Göteborg suonano uguale!”. Ma noi non la vedevamo così, c’erano grandi differenze tra noi e gli altri gruppi in città. Però ci rendevamo conto che avevamo qualcosa che alla gente piaceva. E durante quei tour, a parte forse il primissimo, era pazzesco vedere quante persone conoscessero i pezzi. Ovunque andassimo, c’era gente che sapeva le nostre canzoni. Era una sensazione nuova, assurda, bellissima. E penso che in fondo lo abbiamo capito abbastanza in fretta: qualcosa stava succedendo.
Con “Skydancer”, prima di “The Gallery”, nessuno sapeva davvero cosa volessimo fare. Ma con “The Gallery” avevamo finalmente le idee chiare. E siamo riusciti a realizzare un album di cui ci sentivamo davvero orgogliosi. Vedevamo che la gente lo accoglieva bene, e capiva cosa stavamo cercando di fare. Credo che quello fu il nostro risultato più grande, a quel tempo, perché eravamo consapevoli di star facendo musica un po’ strana, con tante melodie, qualche voce pulita, chitarre acustiche… e pensavamo: “Questa roba non funzionerà mai”.
Ma non ci importava: ci divertivamo, eravamo fieri di quel che facevamo. E lo facevamo insieme.

CHI PORTAVA TUTTE QUESTE DIVERSE INFLUENZE? PERCHÉ, OVVIAMENTE, QUANDO ASCOLTI “THE GALLERY”, O I PRIMI DARK TRANQUILLITY IN GENERALE, SI SENTE CHIARAMENTE L’INFLUENZA DI VARI TIPI DI SONORITÀ…
– Sì, alla fine, su “The Gallery” c’era anche la cover di “Bringer of Torture” dei Kreator, come bonus track nella special edition. Quindi c’erano elementi thrash, ovviamente i Morbid Angel, il death metal old-school… E poi c’erano tutte quelle cose folk, un po’ pastorali.
Penso che Niklas (Sundin, membro fondatore e chitarrista della band fino al 2020, ndr) fosse un po’ il compositore principale a quei tempi.
E poi, ovviamente, Fredrik Johansson, che si unì poco dopo che avevamo registrato “Skydancer”: lui fu davvero un elemento fondamentale, perché aveva abilità diverse. Suonava la chitarra da più tempo rispetto a noi e inoltre era molto dentro al progressive rock e a cose più tecniche. Quindi portò quell’influenza e scrisse, ad esempio, gran parte di “Punish My Heaven”. Quel brano divenne una sorta di primo nostro cavallo di battaglia. È un pezzo che abbiamo suonato tantissime volte.
E poi Martin Henriksson scrisse appunto molte delle cose più thrash e galoppanti. Quell’approccio divenne un po’ il suo stile, più avanti, quando lasciò il basso e iniziò a suonare la chitarra a tempo pieno.
Ma sì, ognuno contribuiva. Tutto ruotava attorno allo stare insieme in sala prove o in studio e buttare giù idee per vedere cosa potevamo tirar fuori. Mi ricordo che avevamo questa sala prove e ci andavamo cinque o sei giorni alla settimana. Appena finita la scuola, ci andavamo direttamente: erano le cinque del pomeriggio, portavamo dei panini o qualcosa da mangiare e poi provavamo finché non passava l’ultimo autobus per tornare a casa. Tutto per riuscire a suonare bene e far suonare il tutto decentemente.
Penso siano stati anni davvero incredibili, anni formativi, perché ci piaceva così tanto suonare che il resto non contava. Avevamo le dita distrutte, io rimanevo senza voce a fine giornata… Ma non importava, perché era l’unica cosa che volevamo fare.
Per il disco, penso che “Punish My Heaven” sia stata la prima canzone che abbiamo davvero finito. Ne registrammo una demo e pensammo: “Wow, questa è fantastica! Questo è il nostro suono, è quello che dovremmo essere”. E quello ci ispirò a continuare. Sentivamo di essere finalmente arrivati dove volevamo essere come band.

QUANTO È STATO IMPORTANTE IL RUOLO DEL PRODUTTORE FREDRIK NORDSTRÖM E DELLO STUDIO FREDMAN NEL CONFEZIONAMENTO DI “THE GALLERY”? OVVIAMENTE ASSIEME A LUI AVEVATE GIÀ REGISTRATO L’EP “OF CHAOS AND ETERNAL NIGHT”, MA “THE GALLERY” ERA IL PRIMO ALBUM COMPLETO DESTINATO A ESSERE INCISO CON LUI NEI SUOI STUDI.
– Ero super entusiasta di tornare a lavorare con lui, anche perché avevo registrato con Fredrik anche il primo album degli In Flames, qualche mese prima. Quindi lo conoscevo meglio degli altri, sapevo cosa aspettarmi. Ed è stato fantastico, davvero. Certo, eravamo nervosi e ci sentivamo un po’ inesperti, ma all’epoca era tutto normale.
L’esperienza che avevamo avuto con “Skydancer” invece era stata completamente diversa. Eravamo in uno studio pop/rock vero e proprio e lì non avevano la minima idea di cosa stessimo facendo. Il suono del nostro primo album è uscito un po’ scarno. Invece Fredrik, anche se non conosceva ancora benissimo il genere, capì velocemente di cosa si trattava. Era molto entusiasta e aveva capito subito cosa serviva: sapeva lavorare con la compressione e cose del genere per far suonare tutto potente. Nessun altro lo sapeva fare, almeno non nella nostra città.
Credo che registrammo l’album in circa due settimane e mezzo, massimo tre. Su nastro, tra l’altro. Quindi dovevi centrare quasi ogni take; era tutto molto diverso da adesso, dove con il computer puoi rifare tutto, correggere, sistemare… Perciò ci preparammo come pazzi: eravamo pronti a tutto per avere una registrazione fluida, senza errori, senza che nessuno sbagliasse, perché quella era l’unica occasione a nostra disposizione. Non avremmo avuto il budget per correggere una sessione andata male.
Detto questo, eravamo contenti dei soldi che avevamo per portare a termine il lavoro: avevamo un contratto con la Osmose Productions in Francia, che a noi sembrava una cosa fighissima. E Kristian Wåhlin stava già iniziando a dipingere la copertina. Quindi, sì, era tutto molto speciale. Eravamo tutti super concentrati su cosa volevamo fare.
A volte oggi entri in studio e non sai esattamente cosa fare, pensi “sì, dai, lo sistemiamo in qualche modo, porteremo a casa il risultato”, no? Ma qui si trattava di mesi di preparazione, per assicurarci che tutto venisse come volevamo. Devo dire che sentivamo quasi la paura di deludere qualcuno: deludere noi stessi, deludere Fredrik in studio, di non suonare abbastanza bene. Quindi ci motivavamo a vicenda, per essere sicuri che il risultato fosse il più competitivo possibile.

SE NON SBAGLIO, LA PRIMA VOLTA CHE SIETE VENUTI IN ITALIA È STATA DOPO L’USCITA DI “THE MIND’S I”, NEL TOUR CON GLI ENSLAVED, IL WORLD DOMINATION TOUR. MA, COME DICEVAMO, AVETE SUONATO IN GIRO ANCHE SUBITO DOPO “THE GALLERY”.
COME FU PORTARE “THE GALLERY” DAL VIVO PER LA PRIMA VOLTA? ERAVATE ANCORA UNA BAND NUOVA, QUINDI DUBITO CHE MOLTE PERSONE VI CONOSCESSERO. E LA MUSICA, OVVIAMENTE, ERA PIUTTOSTO DIVERSA DA ALTRI TIPI DI BLACK-DEATH METAL IN VOGA NEL PERIODO.
– Il nostro primo tour in assoluto fu di spalla ai Six Feet Under. Una combinazione un po’ strana, certo, ma fu fighissima. Eravamo sullo stesso tour bus, insieme. E per noi, loro erano dei veterani, gente che – guardando ai loro vecchi gruppi – era in giro da un sacco di tempo e che sapeva tutto. Quindi abbiamo imparato molto da loro, ovviamente.
Poi abbiamo fatto anche un tour con i Cannibal Corpse e altri gruppi death metal americani. Anche qui si trattava proprio di assorbire più esperienza possibile, oltre che di lasciare il segno sul palco. Sapevamo che quelle band erano pazzesche, che dal vivo suonavano meglio di tutti. E lì eravamo noi, ragazzini da una cittadina svedese, consapevoli che tutto avrebbe potuto finire da un momento all’altro. Quindi tanto valeva godersela al massimo e dare il meglio sul palco. E fu fantastico.
Ricordo che il primissimo tour, essendo noi sotto Osmose, fu particolare: l’etichetta sino a quel punto aveva praticamente pubblicato solo black metal. Dobbiamo ricordarci che all’epoca non c’era internet e che tutto si muoveva molto più lentamente.
Le informazioni erano spesso frammentarie: potevi ricevere una cassetta, ma magari non avere idea di come si presentasse la band perché non eri riuscito a rimediare una foto. Quindi ricordo che, per via dell’associazione con la Osmose, alcuni ascoltatori vennero a vederci in concerto col corpse paint addosso, pensando che noi avessimo un look di quel tipo. Era figo…
La gente non sapeva cosa aspettarsi. Perché appunto all’epoca si andava a scatola chiusa: compravi CD, compilation, robe del genere. Prendevi una compilation della Osmose e dentro c’erano Absu, Immortal…e poi Dark Tranquillity! Ci infilavano insieme a loro e da fuori potevamo sembrare un gruppo allineato a quella scena. Insomma, in quei primi tour abbiamo davvero sorpreso parecchia gente.

E OVVIAMENTE IL TOUR CHE STA PER PARTIRE SI CONCENTRA ANCHE SU “CHARACTER”, UN ALTRO ALBUM MOLTO IMPORTANTE. STAVO RIFLETTENDO SUL FATTO CHE TRA “THE GALLERY” E “CHARACTER” PASSANO SOLO DIECI ANNI, MA IN QUEI DIECI ANNI È SUCCESSO DI TUTTO…
– Vero. È pazzesco. Se ci pensi, lo stile è cambiato e si è evoluto tantissimo, abbiamo fatto un’infinità di tour, ci sono stati tanti cambiamenti… e anche la scena è cambiata. Ovviamente noi siamo cresciuti molto, ma anche in generale: quando abbiamo iniziato, l’extreme metal non era così popolare come è poi diventato nei primi anni 2000. Nella seconda metà degli anni Novanta, almeno a livello di popolarità tra le masse, il nostro mondo viveva una sorta di recessione dopo i botti dei primi anni Novanta. Quando invece sono usciti “Damage Done” e “Character” le cose stavano cambiando in meglio.. E poi abbiamo iniziato a suonare negli Stati Uniti, che a fine anni Novanta era praticamente un mercato morto per il black/death metal europeo. In quel contesto, grazie al metalcore, molte persone si sono avvicinate a noi. In dieci anni è successo di tutto.
Penso che fosse il 2002, più o meno, quando uscì “Damage Done”, e da lì iniziammo a suonare anche e soprattutto negli USA. E sai, ti piace pensare che queste cose non ti influenzino troppo, che continui a scrivere liberamente… Non volevamo diventare quel tipo di band che scrive solo pensando a cosa funzionerà dal vivo, tipo “facciamo canzoni più facili e accessibili, così funzionano live”, ma ovviamente stare sempre su un palco un po’ ti influenza. E credo che “Damage Done” e “Character” siano i due album in cui davvero abbiamo iniziato a pensare: “ok, questi sono i pezzi che vogliamo suonare sempre, in ogni concerto”. Perché erano brani pesanti, veloci… avevano tutti gli elementi che amiamo portare sul palco. Quindi sì, un approccio molto diverso.
Con “The Gallery” eravamo all’inizio, non sapevamo nulla, non avevamo idea di cosa aspettarci. Non sapevamo nemmeno se qualcuno ci avrebbe ascoltato. Ma con “Character”, avevamo ormai una fanbase: sapevamo che c’era un pubblico là fuori che sarebbe venuto a vederci. Quindi sì, è cambiato tutto, soprattutto a livello di composizione.
Con “The Gallery” era tutto un “ok, mettiamo insieme più roba possibile e vediamo se funziona come un pezzo unico”. Ma riascoltandolo oggi, mentre lo stiamo risuonando, ci diciamo: ma che cazzo, questo passaggio spunta dal nulla e poi scompare. Non viene mai ripreso! E magari è la parte più bella della canzone… ma dura tipo tre secondi e basta, sepolta in mezzo a mille cambi. È folle!
Invece con “Character” avevamo un modo più concreto di costruire canzoni. Eravamo a nostro agio col nostro suono, ma anche con il modo in cui strutturavamo i brani.
Inoltre, è stato anche il primo album che abbiamo registrato nello studio di Martin Brändström, il nostro tastierista. Un approccio che ha cambiato tutto. Stare nel suo studio semplificava il lavoro, significava che eravamo completamente autosufficienti. Potevamo registrare quanto volevamo, senza limiti di tempo, senza scadenze. E questo ha fatto una differenza enorme in termini di lavorazione: ci permetteva di affinare ogni canzone finché non eravamo davvero soddisfatti.

Artista: Dark Tranquillity | Fotografo: Enrico Dal Boni | Data: 07 luglio 2024 | Evento: Metal Park | Venue: AMA Festival | Città: Romano D’Ezzelino (VI)

QUANDO “CHARACTER” È USCITO, ARRIVAVA APPUNTO DOPO “DAMAGE DONE”, UN ALTRO ALBUM MOLTO APPREZZATO…
– Sì, e prima c’erano stati “Projector” e “Haven”, due dischi abbastanza sperimentali. Quando uscì “Character”, mi diede la sensazione di essere un po’ la sintesi di tutto quello che i Dark Tranquillity avevano fatto fino a quel momento. Perché era ancora sperimentale, certo… c’erano ancora più tastiere, ad esempio, ma era anche veloce, tecnico, aggressivo… sembrava proprio un ponte tra i Dark Tranquillity attuali e quelli degli inizi.
Avevamo avuto bisogno di fare alcune di quelle sperimentazioni, specialmente con “Projector”, per scrollarci di dosso la voglia di provare certe cose diverse dal solito. Una volta fatto, sapevamo che eravamo in grado di scrivere in quel modo. Ma poi era stato bello rimettersi sotto e tornare a spingere con “Damage Done” e “Character”, con una nuova fiducia in noi stessi, che ci faceva sentire molto più a nostro agio coi brani. Fu un periodo davvero bello per la band, anche e soprattutto a livello creativo.

COME HAI ACCENNATO, NEI PRIMI ANNI ERA NIKLAS A SCRIVERE LA MAGGIOR PARTE DELLA MUSICA, MENTRE QUANDO È USCITO “CHARACTER”, CREDO CHE IL PRINCIPALE COMPOSITORE FOSSE MARTIN HENRIKSSON…
– Sì, ha preso in mano la situazione, era bravo soprattutto ad occuparsi degli arrangiamenti. Niklas scriveva ancora molto materiale, ma Martin era quello che passava ore e ore a casa o in sala prove a lavorare sui pezzi. Registravamo delle demo, anche solo per ricordarci le idee. Poi Martin tornava a casa, riascoltava tutto, rifaceva le demo con le batterie programmate e ce le mandava dicendo: “Ecco quello che abbiamo fatto oggi”, ed era fantastico. In questa maniera potevamo subito valutare gli spunti, dire “questa parte è figa, questa anche, quest’altra la buttiamo”. E alla fine è diventato una specie di produttore, anche se non lo chiamavamo così all’epoca.
Martin è stato fondamentale nel mettere insieme tutto in modo coerente, assicurandosi che ogni cosa si adattasse al disco.

QUINDI QUAL È IL PIANO PER IL TOUR? SUONERETE UNA SELEZIONE DI BRANI DA ENTRAMBI GLI ALBUM? I DISCHI PER INTERO? COSA FARETE?
– Non abbiamo ancora deciso tutto, ma il piano è suonare tantissimi pezzi da entrambi gli album, anche se forse non arriveremo a riproporli per intero. Ci sono alcuni brani che dal vivo non sono replicabili se non con l’utilizzo di alcune basi… non so, probabilmente potremmo farcela, ma l’idea è scegliere quelli che ci piacciono di più e anche quelli che non abbiamo mai suonato dal vivo. Quindi sarà una selezione, e magari cambierà un po’ ogni sera. Chi lo sa? Ci stiamo lavorando proprio ora.
Pensavamo di fare almeno sei canzoni da ogni disco, più qualcuna da altri lavori. Ma vedremo. Abbiamo alcuni brani che vogliamo provare, vedere se funzionano, e magari includerli. Certamente si tratta di un processo divertente.
Stiamo anche imparando a cambiare in corsa: abbiamo già fatto una cosa simile durante gli ultimi tour, da quando è uscito “Endtime Signals”. Abbiamo tenuto circa centotrenta concerti, e abbiamo iniziato a provare pezzi nuovi anche durante i tour, per vedere se funzionavano e anche per sorprendere i fan più accaniti, quelli che ci seguivano per quattro cinque date di fila. Allora ogni tanto infilavamo un brano che non suonavamo da una vita. È stato fantastico, ci divertiamo un sacco così.

Artista: Dark Tranquillity | Fotografo: Enrico Dal Boni | Data: 07 luglio 2024 | Evento: Metal Park | Venue: AMA Festival | Città: Romano D’Ezzelino (VI)

SECONDO TE OGGI I FAN VIVRANNO QUESTE CANZONI IN MODO DIVERSO RISPETTO A QUANDO USCIRONO? E COSA PENSERANNO QUEI FAN CHE HANNO SCOPERTO I DARK TRANQUILLITY PIÙ DI RECENTE?
– Bella domanda. Non lo so. Spero che possano apprezzarle. Non ci è capitato spesso di sentire qualcuno dire: “Voglio solo sentire le vecchie canzoni, non m’interessa il nuovo materiale”. È raro per un gruppo longevo come il nostro, e questo è fantastico, perché siamo abbastanza fortunati da avere persone che ci seguono anche negli ultimi album. All’inizio non sapevamo se fosse qualcosa che la gente voleva davvero sentire. È difficile capirlo, ma spero che oggi possiamo suonare quei pezzi anche meglio di allora. Suoneranno meglio, si sentiranno meglio. Come dicevo, la band è incredibile. Si tratta solo di rendere giustizia alle canzoni, credo. E spero che chi ci ha visto negli ultimi anni possa ora assistere a qualcosa di completamente diverso, e che riesca ad apprezzarlo anche così. Sono molto emozionato. Un po’ in ansia, ma sarà bello.

SEI L’UNICO MEMBRO ORIGINALE RIMASTO, L’UNICO PRESENTE IN TUTTA LA STORIA DEI DARK TRANQUILLITY. MA IMMAGINO CHE I RAGAZZI CHE SUONANO CON TE ORA SIANO DA TEMPO FAN DELLA BAND, E SARANNO ENTUSIASTI DI SUONARE QUEI BRANI. AVETE PARLATO CON I VECCHI MEMBRI? SO CHE SEI ANCORA IN CONTATTO CON NIKLAS, E OVVIAMENTE, PURTROPPO, FREDRIK JOHANSSON NON C’È PIÙ. MA IN GENERALE SIETE ANCORA IN CONTATTO TRA DI VOI?
– Sì, certo. Martin Henriksson è da anni il nostro manager, quindi lavora con la band ogni giorno, anche se dietro le quinte. E anche Niklas, in realtà. Niklas si occupa di tutta la parte visiva, fa tutte le grafiche per le magliette, le animazioni sul palco, le copertine… come ha fatto fin dall’inizio. È bello che sia ancora così.
Abbiamo parlato di questo progetto per tanto tempo, anche quando Martin era ancora nella band. Ed è super entusiasta. L’idea è nata assieme, ci siamo detti: “Vediamo se riusciamo davvero a farcela”. Quindi sì, è bello avere ancora i ‘vecchi’ in giro, anche se non sono in tour con noi.

E ALLA FINE SIETE ANCORA AMICI, CHE È SENZ’ALTRO UNA BELLA COSA. NON CAPITA SPESSO.
QUESTO TOUR È INSOMMA MOLTO ATTESO: AVETE ALTRI PIANI DOPO? E SE ANDASSE DAVVERO BENE, CONSIDERERESTE L’IDEA DI FARE LO STESSO CON ALTRI DISCHI?
– Sì, a dire il vero ci stiamo già pensando! Sarebbe divertente. Tra un album e l’altro… Come dicevo, abbiamo fatto centotrenta concerti per “Endtime Signals”, quindi quel ciclo è praticamente finito. Ora possiamo fare questa cosa, prima di tornare in studio per scrivere il prossimo album.
Se riusciamo a mantenere questo ciclo, celebrare il materiale vecchio ma anche promuovere quello nuovo, e fare tour diversi… direi che nessuno potrà mai lamentarsi, anzi. Quindi, se questo tour funziona e ci dà buone sensazioni, sì, faremo sicuramente qualcosa del genere anche in futuro, prendendo magari “The Mind’s I”, “Projector” o altri dischi.