Un padre e una figlia comunicano a distanza mentre la Terra è teatro di una devastante pioggia di meteoriti. Su Amazon Prime Video.
Il mondo intero sta “aspettando” una pioggia di meteoriti che dovrebbero lambire la Terra, sfiorandola solamente secondo le previsioni. Ma qualcosa va storto e la traiettoria cambia improvvisamente, provocando una serie di devastanti impatti in molte zone del pianeta. La città russa Vladivostok non ne è esente ed è proprio qui che conosciamo la protagonista Lera, una quindicenne che si ritrova a dover salvare la sua famiglia e la città da quell’imminente e inaspettata catastrofe.
In 12 ore per la fine del mondo, la ragazza avrà suo alleato in questa disperata corsa contro il tempo il padre, che da anni lavora a bordo della stazione spaziale. A distanza, con il solo ausilio di sistemi satellitari e comunicazioni via telefono, il genitore la guida attraverso il caos in una città distrutta e in fiamme, dove il pericolo che cade dal cielo è sempre in agguato, dandole istruzioni e supporto. Il loro rapporto viene messo alla prova e ridefinito, in una situazione di emergenza che non ammette errori.
Dalla Russia con furore
Il cinema russo dagli inizi del nuovo millennio ha tentato di scimmiottare le grosse produzioni hollywoodiane, puntando sulla forza degli effetti speciali e su una retorica caricata quanto e se non più come nei grossi blockbuster d’Oltreoceano. Soprattutto la fantascienza è un filone che va per la maggiore senza la paura di sfigurare, con pellicole dal taglio estetico imponente dove catastrofi impreviste o minacce dal cielo, asteroidi o extraterrestri che siano, minacciano l’incolumità dei protagonisti, spesso legati da vincoli familiari.
Questo 12 ore per la fine del mondo si inserisce appieno nella descrizione, con un approccio narrativo che può ricordare una sorta di versione evoluta dei mockbuster Asylum – chi li conosce sa già cosa aspettarsi. Ma se la sceneggiatura non brilla per finezza e profondità, con risvolti emotivi all’insegna di retorica e patriottismo – e con quell’epilogo sacrificale che guarda ad Armageddon (1998) visto e rivisto, il film riesce a costruire un buon senso di urgenza. Le sequenze d’azione, in particolare quelle legate alla pioggia di meteoriti e alle sue conseguenze, sono ben realizzate e visivamente efficaci e un lungo piano sequenza, più o meno “falsato”, che segue la malcapitata Lera in una fuga disperata è discretamente ansiogeno e ben organizzato.
Con un occhio rivolto all’insù
La regia di Dmitriy Kiselev – del quale ricordiamo l’interessante Il tempo dei primi – Spacewalker (2017), anch’esso avente luogo parzialmente nello spazio – pur senza rivoluzionare il genere sa creare momenti di autentica suspense, con un impatto visivo di prima grandezza che concede un notevole afflato spettacolare. Le immagini di Vladivostok devastata da questi massi infuocati che invadono l’atmosfera terrestre possiedono un’istintiva energia e il destino dei protagonisti viene così messo a rischio in più occasioni.
Il legame tra padre e figlia, con dialoghi che scimmiottano gli slanci emotivi di Interstellar (2014) e di altri grandi classici a tema, riesce ad appassionare il pubblico dando vita a struggenti e risolutive scene madri, anche se l’originalità non è certo il punto di forza di una storia che non si vergogna della sua essenza derivativa, anzi calcando la mano in più occasioni. Il discorso relativo alla doppia ambientazione, con il pericolo non soltanto sulla superficie in rovina e sotto costante minaccia ma anche a bordo di quella stazione spaziale semi-distrutta, spinge il pubblico a identificarsi coi personaggi principali, un padre e una figlia pronti a rimettere mano al loro legame incrinato proprio nel momento di maggior bisogno.