Chi scrive ancora a mano? Tra le tante cose di cui la rivoluzione digitale ci ha sottilmente privato c’è la grafia. Una perdita non da poco, dato che è una parte della nostra personalità, come il tono di voce o il modo di camminare.

«Nella mano di ogni uomo pone un sigillo, perché tutti riconoscano la sua opera» dice il libro di Giobbe, ogni tratto, ogni linea e ogni pressione impressa sulla carta è il risultato di un complesso intreccio di processi motori, cognitivi ed emotivi diversi per ognuno di noi, tant’è vero che esiste una scienza, la grafologia, che lega la scrittura alla personalità.

È quindi con una punta di nostalgia per tempi analogici irrimediabilmente perduti che Nunzia Scalzo, grafologa e giornalista siciliana, immerge in un cold case anni ’60 (ispirato a una vicenda realmente accaduta) la sua Bea Navarra, grafologa forense intuitiva, cocciuta, fuori dagli schemi, protagonista de La regola dell’ortica (Feltrinelli). Romanzo d’esordio uscito a luglio e a sorpresa tra i gialli più venduti dell’estate.

Bea è una cinquantenne tosta che va avanti a birra gelata e street food: a 16 anni ha perso tutta la famiglia in un incidente, è divorziata, un figlio studente fuori sede in Svizzera che non ha mai conosciuto il padre, «tradita e tante volte delusa e disillusa, e allora? Sono qui, vado avanti per la mia strada e non mi volto indietro, tanto a cosa serve? Pare che nel Settecento girasse un detto che a me piace molto: “Il dolore – o Signore – è un tipo di ozio”».

Ecco, Bea non è tipo da stare in ozio: il lavoro la appassiona e la fa arrabbiare in egual misura, perché certo la fa entrare in contatto con gli inganni degli esseri umani: proprio come la sua autrice si occupa soprattutto di testamenti olografi, per capire se siano autentici, messaggi minatori, scritte intimidatorie sui muri, lettere anonime.

A finire sotto la sua lente di ingrandimento un biglietto d’addio di una presunta suicida: o è stato un abile depistaggio? Non è facile distinguere il vero dal falso, anzi, come allude il titolo per capire il senso delle cose è bene non guardarle troppo da vicino.

«Il mese di agosto ti insegna la regola dell’ortica ardente: fino a quando stringi le foglie non avverti il dolore delle punture, lo senti solo quando lasci la presa». Stavolta la distanza temporale è assicurata: la tragedia della giovane Norma Speranza è avvenuta nel 1965: si è sparata in salotto con una carabina, o almeno questo è ciò che concludono le indagini, sebbene siano molti i dubbi sul movente e le modalità.

Accanto al corpo un biglietto: «Tutto è distrutto e io mi ammazzo». La nipote di Norma, Simonetta, cresciuta all’ombra della tragica zia e la sorella Violetta, legata alla vittima da un amore impastato di risentimento, però sono da sempre convinte che il responsabile della morte sia il marito Andrea, con cui i rapporti erano pessimi, e dopo sessant’anni, decide di far analizzare ancora una volta quel biglietto fatale.

Cosa resta di una vita dopo 60 anni? Restano le parole. Le ultime disperate e ambigue su un foglio di block notes, quelle scritte sul diario da un’amica, quelle fredde dell’ufficialità delle indagini e dell’autopsia e quelle sofferte di una lettera pensata per essere l’ultima.

Nunzia Scalzo cambia abilmente il tono di voce dando spazio al racconto diretto dei singoli personaggi, il gentile sarto Amedeo Capuozzo, il tenace commissario Fides, il portinaio del condominio Sebastiano La Porta, primo ad arrivare sul luogo della tragedia, l’ambigua amica Evelina Quattrocchi, che dalla casa di riposo “Fiocco di neve” continua a dispensare sottili malignità, il marito Andrea dal passato tormentato, uno che secondo il pensiero comune «prima di incontrare lei era niente» e la di lui sorella Rosetta, sposata con un uomo violento e meschino.

GLI ANTI-CLASSICI

Non esiste verità assoluta. Tranne nella Versione di Barney

NICOLETTA VERNA

09 Agosto 2025

Non che di matrimoni felici ce ne siano molti, nella storia. L’indagine trasporta Bea nella Catania anni ’60, dove dietro ogni sorriso si nasconde una feroce lite domestica, uno scandalo sessuale, un intento criminale. Con l’aiuto dell’amico giornalista Domenico Grimaldi e della collega Erina Amato – una fuoriclasse per intelligenza e aspetto fisico, non fosse per «quell’aria da dissonante cognitiva» – Bea ricostruisce i fatti e studia scientificamente quelle poche parole rimaste. Fino ad arrivare alla verità, che coglie tutti di sorpresa.

La verità rende liberi, forse, ma a che prezzo? «Che fatica e soprattutto che dolore ricordare – dice un personaggio – che fatica e che dolore anche solo parlare di questa storia». Il tempo non ha attutito il dolore, anzi, la regola dell’ortica dice che appena molli la presa lo senti più acuto, ma ha cambiato la prospettiva. Sarà che «vincitori e vinti si somigliano tutti», pensa Bea, dipende dal punto di vista.

Con il tempo, chi sembra trionfare magari soccombe, tutti comunque portano avanti un balletto di ruoli e mettono una maschera diversa a seconda di chi incontrano. «Il punto è che la vita se ne frega di tutti e prima o poi presenta il conto perfino a loro, ai migliori, dimostrando di andare grandemente a caso. Convenite con me? In amore poi, come nella vita, i grandi, gli eroi e gli invincibili un giorno o l’altro sono destinati a crollare. Siamo tutti qui, sotto questo cielo governato dal caso. È solo questione di tempo, i nodi arriveranno al pettine, le contraddizioni esploderanno».

Siamo polvere, ombra e parole e se perdiamo la capacità di tenerle tra le dita e trasformarle in quel magico disegno di linee che accompagna l’anatomia umana da millenni perdiamo un po’ noi stessi. Parole scritte come un filo sottile che unisce e mette in forma i singoli istanti della nostra esistenza, dai più banali ai più tragici. Parole che, come le ortiche, bruciano a lungo dopo averle strette in mano.