Di solito, la hit senza tempo, quella che si continua a suonare nelle discoteche anche venti anni dopo, è un’aspirazione per chi fa musica. Per Maria Luisa Colombo, in arte Lu Colombo, invece, non è stato così. Lei è rimasta “prigioniera” della sua canzone Maracaibo, spiega in un’intervista per Repubblica, che le ha segnato la vita e le ha allegato un personaggio che non le apparteneva. Non avrebbe voluto essere una popstar, ma il destino ha scelto per lei una direzione che oggi avrebbe cambiato volentieri.
“Ho vissuto male il successo – spiega – anche se sentivo che sarebbe stata una hit”. Una volta famosa, però, ha cominciato a non sopportarsi più: “Ero un personaggio, lontana da casa, perdevo amici e affetti in nome di non si sa cosa”. Lei si dice non tagliata per il palco: preferisce i live di piccole dimensioni, più a contatto con il pubblico. “Quando cantai alla finale del Festivalbar lo trovai spersonalizzante”.
Da lì una crisi profonda, che le ha fatto comprendere di non volere quella vita. Quindi, la decisione di abbandonare l’industria. “Sono tornata a fare musica solo negli anni novanta, quando ero più spensierata”. Il suo ideale? “Fiorella Mannoia. Penso che se me la fossi giocata avrei potuto costruire una carriera simile”. Più libera, più se stessa, “Maracaibo mi ha reso la versione di me che odiavo”. Complice anche un ambiente maschilista, che voleva plasmarla, “io invece indossavo camicie, ero indipendente – la stessa Maracaibo era slegata dalle major – e facevo di testa mia. Alcuni produttori hanno anche provato a ricattarmi”.
Colombo non c’è neanche mai stata a Maracaìbo, che in realtà si pronuncia Maracàibo. Un merito, però, è quello di aver sdoganato la musica latina estiva, “oggi accendo la radio ed è tutto così”. In questo nuovo panorama, ci sta qualche artista che Colombo apprezza: “Mi piace Mon amour di Annalisa e Che t’o dico a fa’ di Angelina Mango. Anche i The Kolors niente male. Gli altri mi sembrano tutti uguali: sembra che i testi li scrivano con l’intelligenza artificiale”.
Eppure Maracaibo voleva avere un significato profondo, politico – la storia di una spogliarellista cubana che lotta con la vita. Ma poi dovette aggiornarla, “negli ottanta non c’era più spazio per la politica”. Oggi, della canzone, rimane solo il motivetto noto a tutti gli italiani. La sfida era far ballare con una canzone da cantautrice. E a far ballare, malgrado il suo intento iniziale, ci riesce ancora.