Una recente manifestazione contro il governo israeliano

Una recente manifestazione contro il governo israeliano – Ansa

Benjamin Netanyahu si è infilato da solo in un vicolo senza uscita mentre addosso si trova puntato l’indice di gran parte dei Paesi del mondo, l’estrema destra lo minaccia di far cadere il governo perché i piani di occupazione non prevedono la definitiva eliminazione dei palestinesi, e riservisti con ex piloti israeliani contestano il governo. Non bastasse, 24 governi occidentali, tra cui l’Italia, denunciano «la carestia che si sta consumando sotto ai nostri occhi».

Tra isolamento internazionale e rischi di implosioni interne, il primo ministro sta studiando le contromosse per uscire dall’angolo, mentre gli Usa non negano più di essere in difficoltà a recitare la parte di unico sostenitore di Israele. La crisi umanitaria a Gaza ha raggiunto «livelli inimmaginabili», hanno affermato il Regno Unito, Canada, Australia, Italia e diversi alleati europei, invitando Israele a consentire l’ingresso senza restrizioni degli aiuti nell’enclave palestinese. «È necessario un intervento urgente», hanno affermato i ministri degli esteri in una dichiarazione congiunta. «Chiediamo al governo di Israele di fornire l’autorizzazione a tutte le Ong internazionali», affinché possano inviare aiuti. «Tutti i valichi e le rotte devono essere utilizzati per consentire un afflusso di aiuti a Gaza, compresi cibo, forniture alimentari, carburante, acqua potabile, medicinali e attrezzature mediche».

Tel Aviv respinge ogni responsabilità e nega vi sia malnutrizione a Gaza, accusando semmai Hamas di razziare gli aiuti e creare e creare condizioni di disagio tra i civili per far ricadere le colpe su Israele. Una narrazione che oramai fatica a reggere, specie dopo che diversi governi hanno lanciato derrate dai voli militari umanitari che hanno permesso di osservare e analizzare la situazione sul terreno attraverso riprese di tipo militare note ai vertici politici dei Paesi coinvolti.

Domenica il premier Netanyahu aveva annunciato l’apertura di corridoi sicuri per gli aiuti, senza specificare quando sarebbero stati aperti e in quali condizioni, nel momento in cui si annuncia l’avvio di una operazione militare per la completa occupazione di Gaza City e via via fino all’85% della Striscia.

A confermare il dissenso dei vertici militari Israeliani è giunta una notizia. Domenica l’esercito ha svolto una simulazione con vari gradi di attacco ai confini israeliani. «Generalmente questo genere di esercitazioni – dice ad ”Avvenire” una fonte militare israeliana – si conclude con comunicati stampa trionfalistici e i problemi emersi vengono discussi a porte chiuse». Invece il generale Zamir, già in aperto contrasto con Netanyahu, ha fatto sapere che sono emerse lacune soprattutto a Est: la capacità di risposta in caso di attacco sul confine giordano non sarebbe all’altezza. Tradotto: se gran parte dei militari venisse dislocata su Gaza per accontentare le pretese del governo, Israele non sarebbe in grado di affrontare tempestivamente altre minacce. Un modo per scoraggiare l’ordine di attacco e riaprire la strada negoziale. Mentre le lancette scorrono, l’Egitto ha ripreso in mano l’iniziativa negoziale e sta collaborando con il Qatar e gli Stati Uniti per mediare un cessate il fuoco di 60 giorni, nell’ambito di un rinnovato impegno per porre fine al conflitto e ottenere la liberazione dei 50 ostaggi (20 ancora in vita) ancora imprigionati da Hamas. «Stiamo lavorando duramente in piena collaborazione con i qatarini e gli americani», ha dichiarato il ministro degli esteri egiziani Abdelatty che ha riproposto il ritorno alla proposta originaria: «Un cessate il fuoco di 60 giorni, con il rilascio di alcuni ostaggi e di alcuni detenuti palestinesi e la ripresa del flusso di assistenza umanitaria e medica a Gaza senza restrizioni e senza condizioni».

Anche la rappresentante della politica Estera, Kaja Kallas, e altri due membri della Commissione europea hanno firmato la dichiarazione. Tra i non firmatari, si contano Germania e Ungheria. Uno dei piani di Netanyahu riguardava l’assegnazione di Gaza a una amministrazione araba che escludesse i palestinesi. Un calcolo finora con poche possibilità di riuscita. Specialmente dopo che Il governo dell’Arabia Saudita ha dichiarato di condannare fermamente la decisione di Israele di «occupare completamente la Striscia di Gaza e la sua continua perpetrazione di crimini di fame, pratiche brutali e pulizia etnica» contro i palestinesi. Lo ha rivelato Haaretz, citando una dichiarazione rilasciata in seguito a una riunione del governo, presieduta dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Riad ha anche accusato la comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di non essere riusciti a «fermare questi attacchi e violazioni».

Riprende perciò quota l’ipotesi di una amministrazione che non escluda i palestinesi. Il nome più accreditato quale governatore di transizione è quello di Samir Halilah, imprenditore con un passato nell’Autorità nazionale palestinese che intervistato dall’agenzia palestinese Maan, vicina alle autorità guidate da Abu Mazen, ha confermato di avere ottenuto un sostanziale via libera anche di Hamas. Il sito israeliano “Ynet” cita «documenti riservati» secondo cui si tratterebbe di un tentativo di portare nella Striscia – che nel 2006 finì in mano a Hamas – qualcuno che operi sotto gli auspici della Lega Araba, che venga accettato sia da Israele che dagli Usa e consenta una transizione al dopoguerra. Nell’intervista a ”Maan”, lo stesso Halilah ha affermato che la proposta di nominarlo governatore, «discussa all’interno della leadership palestinese, è sul tavolo da un anno e mezzo», e ora è stata «accettata da Hamas».

Mai come negli ultimi giorni abbiamo ascoltato dalla viva voce dei militari israeliani le preoccupate confidenze di chi teme che si concentri un potere incontrollato nelle mani di Netanyahu. Il capo dei militari «capisce esattamente cosa sta succedendo e non intende consegnare i militari a Netanyahu e al ministro della difesa Katz», ha detto una fonte militare al “Time of Israel”. Poco prima lo stesso generale Zamir aveva detto agli alti ufficiali e ad alcuni funzionari esterni alle forze armate che la famiglia e i più stretti alleati di Netanyahu stanno cercando di licenziarlo. Era stato il figlio minore di Netanyahu ad accusare Zamir di voler tentare un colpo di stato. Un’accusa da cui il padre non ha preso le distanze. A sostegno del comandate dell’Idf ci sono anche i riservisti ed ex piloti di aerei da combattimento. Veterani che già avevano firmato una lettera per chiedere di fermare i piani. All’inizio erano in 600 ora il numero è più che triplicato. E martedì sera centinaia di piloti in pensione e riservisti dell’aeronautica militare si sono riuniti davanti al quartier generale delle Idf a Tel Aviv per chiedere la fine della guerra. A loro sostegno anche le migliaia di manifestanti che da 22 mesi chiedono di fermare il conflitto, salvare gli ostaggi, e avviare un percorso politico per Gaza. Per Netanyahu è il pericolo peggiore, perché nessuna forza e nessun politico in Israele è rispettato quanto l’Idf. «Sosteniamo l’opposizione del capo di stato maggiore delle Idf all’espansione della guerra e il nostro sostegno a un accordo urgente per la restituzione degli ostaggi», ripetono i firmatari dell’appello tra gli applausi. E non pochi, a questo punto, dicono di sperare che in qualche forma inedita siano i militari a prendere il controllo per salvare Israele. Un clima inimmaginabile fino a poche settimane fa.