La denatalità si estende al mondo delle imprese. Specie le piccole unità lavorative italiane risentono del trend della popolazione del Belpaese. A giugno 2025 i titolari di aziende con almeno 70 anni erano 314.824, pari al 10,7% del totale: erano 290.328 nel 2015 (8,9%). Una crescita di 24.496 unità in un decennio in cui invece l’intero universo delle imprese individuali si è ridotto di oltre 300mila unità. È la fotografia scattata da uno studio di InfoCamere sulla base dei dati del Registro delle Imprese delle Camere di commercio.
LA TENDENZA
La tendenza è particolarmente accentuata nel Sud: Basilicata (15%), Abruzzo (14%), Sicilia, (13,3%), Puglia (13,2%) sono tra le regioni con la maggiore incidenza di over 70. Da segnalare anche la coppia Umbria-Marche, in cui la quota dei titolari over 70 supera il ‘muro’ del 14%. In alcune province si toccano punte record: Grosseto (18,7%), Trapani e Chieti (17,6%), Taranto (15,9%), Enna (15,6%). Molto contenuta, invece, la presenza di titolari ultrasettantenni nelle grandi città: Milano (6,4% sul totale), Torino (6,5%), Napoli (8,3%).
Nel decennio 2015–2025, il numero di titolari d’impresa over 70 è aumentato in oltre due terzi delle province italiane, ma con dinamiche molto diverse. In valore assoluto, le province che registrano gli incrementi più consistenti di imprenditori over 70 sono: Palermo (+1.840) Torino (+1.794) Milano (+1.763) Napoli (+1.439) Reggio Calabria (+1.314). Aree caratterizzate in parte da una base imprenditoriale ampia e, dall’altra, dalla persistenza di modelli familiari nelle attività più tradizionali.
IL DATO
Quanto alle variazioni nel peso percentuale degli over 70 sul totale dei titolari, nell’arco del decennio considerato emergono province dove l’invecchiamento è particolarmente rapido: è il caso di Enna +5,2 punti percentuali, Crotone: +4,8 punti, Chieti: +4,6 punti, Vibo Valentia: +4,5 punti, Grosseto +4,3 punti (18,7%). In queste realtà – spesso rurali, del Sud o interne – il dato segnala una fragilità strutturale: si tratta di microimprese tradizionali, spesso a conduzione familiare, dove mancano ricambi generazionali e attrattività per i giovani. Questa polarizzazione territoriale solleva interrogativi su come sostenere il passaggio generazionale e su quali politiche attivare per accompagnare l’uscita degli imprenditori anziani, garantendo continuità alle attività economiche più radicate nel tessuto locale.
IL 70% PER CONTINUARE
Il settore dove il fenomeno è più marcato è l’agricoltura: qui quasi un titolare su tre (28,3%) ha almeno 70 anni. Seguono le attività estrattive (50,7%, su valori assoluti però molto piccoli), la fornitura di energia (20,1%) e l’artigianato manifatturiero (9,6%). In fondo alla classifica, i comparti più innovativi come ICT (4,2%) e consulenza (4,9%). Il dato preoccupa soprattutto per le piccole imprese tradizionali, spesso familiari e radicate nel territorio, dove il passaggio di testimone è cruciale per garantirne la sopravvivenza.
Dietro l’aumento di partite Iva/microimprese over70 c’è soprattutto la tendenza degli italiani di ritardare la pensione, al di là della polemica sull’innalzamento dell’età pensionistica. L’età media in cui si lascia il lavoro nel 2024 è salita a 64 anni e 5 mesi, con un aumento di tre mesi rispetto al 2023 e questo non è dovuto solo al restringimento delle regole di uscite. Come dimostra il flop di quota 103. Secondo uno studio del Censis, il 70% degli italiani è favorevole a continuare a lavorare oltre all’età del pensionamento. Questo perché la vita media si allunga come i livelli di salute. Eppoi – soprattutto dopo l’ondata inflattiva 2022-2023 con punte nel 24 – è più facile difendere il proprio potere d’acquisto restando al lavoro. D’altro canto anche le aziende – con la difficoltà a trovare lavoratori – preferiscono oggi tenersi competenze che è difficile sostituire.
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