di
Margherita Montanari

Le proiezioni di Unimpresa con un piano di ammortamento a 30 anni: ricavi fino a 800 milioni all’anno e utile di 100 milioni, così si ripaga solo il 23% dell’investimento di 13 miliardi

I ricavi da pedaggi non basteranno a rientrare nell’investimento di 13 miliardi previsto per il ponte sullo Stretto di Messina. Con un traffico previsto di 25 milioni di veicoli e 36 mila treni ogni giorno – e una tariffa media di 15 euro (10 euro per le auto e 20 euro per i camion, con una distribuzione ipotetica del traffico al 50% tra mezzi leggeri e pesanti) – le entrate dell’infrastruttura potrebbero oscillare tra i 535 e gli 800 milioni di euro all’anno (compreso il traffico ferroviario, stimato intorno al 30% del totale, pari a circa 160 milioni), con un utile operativo stimato in circa 100 milioni di euro annui. Con un piano di ammortamento fissato in 30 anni, il valore cumulato degli utili di circa 3 miliardi rappresenterebbe appena il 23% del costo dell’opera. Per mettersi in pari, serviranno un mix di «entrate accessorie», come «servizi logistici, concessioni, attività», e «probabili integrazioni pubbliche, come contributi statali o europei». A dirlo è il Centro studi di Unimpresa che, esaminato il progetto e il piano di ammortamento a 30 anni del progetto infrastrutturale, ha fatto una proiezione delle sue ricadute.

I due scenari

Unimpresa ragiona con due scenari. Uno, meno roseo, prospetta il raggiungimento di 535 milioni di euro di ricavi, di cui 375 da pedaggi stradali e altri 160 da traffico ferroviario. Le stime più ottimistiche prospettano invece entrate fino a 800 milioni di euro all’anno. Ma come si arriverebbe all’uno o all’altro risultato? Il ponte sarà transitabile su pagamento di un pedaggio, sia dei mezzi su gomma che su rotaia. Come detto, il modello di business prevede una tariffa media per veicolo di 15 euro (10 euro per le auto, 20 euro per i camion), con una distribuzione ipotetica del traffico al 50% tra mezzi leggeri e pesanti e il valore commerciale del traffico ferroviario stimato pari al 30% del totale. Sempre partendo da questi scenari, l’utile previsto annualmente arriverebbe alla cifra di 100 milioni di euro annui, già dal primo anno di apertura. In trent’anni, così, l’utile cumulato arriverebbe a 3 miliardi di euro, pari al 23%.



















































I pedaggi non bastano

Serviranno 13 miliardi di euro per completare la costruzione di quello che diventerà il ponte sospeso con la campata unica più lunga al mondo, con un viadotto di 3.666 metri e una campata centrale sospesa di 3.300 metri. Come fare, quindi, a rientrare nei costi? Unimpresa spiega che serviranno, oltre ai ricavi da pedaggi, un mix di «entrate accessorie», come «servizi logistici, concessioni, attività commerciali connesse» e «probabili integrazioni pubbliche (contributi statali o europei)». «È evidente che i soli ricavi diretti non bastano a giustificare l’opera dal punto di vista strettamente finanziario, ma devono essere letti in un’ottica di investimento pubblico a ritorno sistemico», spiega il Centro studi. 

Impatto limitato su Calabria e Sicilia

Un altro aspetto delle ricadute economiche riguarda l’indotto nelle regioni toccate dal ponte, Sicilia e Calabria. Unimpresa evidenzia che «secondo le proiezioni attuali, restano modeste», circa mezzo miliardo di euro all’anno. «Per la Sicilia l’impatto sul Pil (circa 100 miliardi annui) sarebbe inferiore all’1% annuo; per la Calabria, regione con un Pil più contenuto (circa 40 miliardi di euro), la ricaduta si attesterebbe tra l’1,4% e il 2,3%, ben lontano da stime iperboliche superiori al 100%», evidenzia la ricerca. Senza contare le incognite legate ai tempi di realizzazione e alla gestione della filiera (l’opera è affidata al consorzio di imprese Eurolink, con capofila Webuild).

L’ecosistema logistico da attivare

Il ponte, da solo, non potrà generare domanda sufficiente a ripagare l’investimento. La sfida infrastrutturale richiede «la capacità di generare e gestire traffico commerciale su vasta scala», dice Unimpresa. Sarà quindi determinante la quantità di merci che lo attraverseranno. E per renderlo possibile «sarà indispensabile sviluppare un ecosistema logistico integrato che comprenda porti modernizzati e competitivi, terminal intermodali efficienti, connessioni ferroviarie ad alta capacità e piattaforme di distribuzione interna collegate alle principali direttrici europee». 

Il confronto con Istanbul

«Lo sviluppo del ponte non sarà quasi per nulla legato al numero di abitanti, ma al numero di merci che attraverseranno il ponte», con piani commerciali e piattaforme logistiche «che dovranno nascere», commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. «Ed è qui che la politica dovrebbe farsi sentire — continua —. Se prendiamo ad esempio il ponte di Istanbul, con 15 milioni di abitanti, crocevia per i Balcani e Medioriente, appare chiaro che quello sullo stretto è poca roba. Sicilia e Calabria unite sommano meno della metà degli abitanti della sola Istanbul»

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12 agosto 2025