«Ho 15 anni, non ho assorbenti a casa e mamma mi dice di usare una vecchia maglietta e di arrangiarmi in qualche modo. Devo andare a scuola ma mi vergogno. Non ci sono andata, così come altre volte»; «Sono a lavoro ho un ciclo doloroso, il bagno è sporco e tutto questo mi crea malessere. In quei giorni vorrei stare a casa». Vivere con serenità il ciclo mestruale non è scontato per tutte. Attorno a noi, tra vite più o meno agiate, ci sono altrettante storie di donne che si nascondono e vivono in silenzio un disagio. In Italia circa 1 donna su 6 – secondo i dati che l’associazione WeWorld è riuscita a raccogliere nel 2023 – è colpita da “povertà mestruale”, dall’inglese period poverty, la condizione di chi non ha la possibilità di usufruire di prodotti igienici, di cure, di farmaci, di poter avere luoghi sicuri e puliti dove cambiarsi durante le mestruazioni.


Una realtà tanto diffusa quanto censurata e che ha conseguenze sulla vita di tutti i giorni: dall’imbarazzo di chiedere un assorbente, al disagio di vivere una cosa naturale e la vergogna di mostrare che si è donne come se fosse un difetto. «Noi non decidiamo di mestruare», afferma Valentina Lucia Ferrara, presidente dell’associazione di promozione sociale Eva in Rosso ed educatrice mestruale. «Il ciclo è stato inserito dall’Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità – come sesto segno vitale, insieme a respiro e battito cardiaco: questo avrà una sua importanza?!». 



Povertà mestruale in Italia: il ciclo come privilegio di pochi

La onlus italiana WeWorld ha realizzato, assieme a Ipsos, la prima indagine in Italia sulla povertà mestruale. È emerso che quasi 1 donna su 6 non può comprare prodotti mestruali ed è costretta a sostituirli con la carta igienica, stracci o altri materiali di fortuna. I numeri potrebbero essere anche sottostimati: lo studio è stato condotto su 1400 persone, un campione ridotto rispetto alla popolazione femminile nazionale, e lo stigma che ancora oggi avvolge il tema rende difficile una rilevazione completa.


Ma la period poverty è molto di più: «È anche l’impossibilità di poter usufruire di posti sicuri dove cambiarsi o lavarsi, di comprare medicinali che devi prendere quando hai una mestruazione dolorosa. Il dolore, inoltre, è spesso invalidante e costringe a saltare giorni di lavoro, di università o di scuola. Quindi è tutto ciò che crea povertà, disagio, differenza sociale ed economica sotto diversi punti di vista», spiega Fontana. «Senza parlare delle persone che mestruano senza fissa dimora, le cui problematiche vengono spesso ignorate». Ed è per questo che non è possibile parlare di un unico profilo sociologico di chi vive questa condizione, perché, in maniera diversa, potremmo essere tutte. 


A influire sulla condizione anche la tassa sugli assorbenti: «Molte ragazze non hanno la possibilità di accedere ai dispositivi mestruali, perché la tampon tax è ancora alta. C’è stata una modifica che aveva portato l’IVA al 10%, adesso l’hanno riportata al 22%, quindi continuiamo a spendere tanti soldi per la gestione delle mestruazioni», continua l’educatrice. Abbassare l’IVA sugli assorbenti aiuterebbe a combattere la povertà mestruale: «Non si riesce a capire che in alcune situazioni familiari è una voce di costo che impatta. In media si spenderanno 10 euro al mese per due pacchetti di assorbenti: e se in una famiglia ci sono tre donne che mestruano? E se non puoi comprare quelli che un minimo sono controllati e compri le sottomarche, si apre tutto un filone sulla salute, sul che cosa ti metti a contatto con la vulva. Se, ad esempio, compri l’assorbente del discount, che paghi 1,50 euro, perché non puoi fare altrimenti, usi qualcosa che potrebbe crearti fastidi. Che cosa vuol dire tutto questo? Che in quei giorni vivere è veramente difficile». E il ciclo da fatto biologico diventa una barriera.



Il ruolo dell’educazione: imparare a parlare

Ma il problema non è solo economico, è anche culturale. L’educazione sessuale e mestruale resta un tabù nel nostro Paese soprattutto nelle scuole. Eppure, l’informazione può essere un atto rivoluzionario: non si tratta solo di spiegare come funziona il corpo, ma di normalizzare la natura umana e muoversi con consapevolezza. «Povertà mestruale è anche difficoltà ad accedere alle informazioni sul ciclo per questo è fondamentale parlarne nelle scuole sia a ragazze che a ragazzi», spiega Patrizia Chumbes Vera, educatrice sessuale e mestruale e divulgatrice sui social (@chiamalemestruazioni). «Quando parlo nelle aule dell’Università con ragazze di 20-27 anni, spesso rimangono stupite e prendono appunti sulle mestruazioni. Avrebbero voluto sapere prima, ad esempio, che noi persone aventi utero, funzioniamo in maniera diversa, perché dipendiamo dalle fasi del ciclo che stiamo attraversando. Ci sono fasi in cui ci sentiamo con molta più energia, perché è proprio il nostro stato psicofisico che ce lo permette, e fasi in cui dobbiamo rallentare il ritmo, non perché siamo svogliate ma perché è proprio il nostro corpo che ce lo chiede. Inoltre, conoscere aiuta a sapere i propri diritti e gli strumenti che esistono per vivere bene quei giorni del mese». E se si è costrette a dover nascondere tutto ciò succede che il corpo si ammala sia a livello fisico che psichico: «Le ragazze mi raccontano della necessità di parlarne e di farlo anche con le persone di sesso maschile. Assistere ad una lezione di educazione mestruale aiuta capire tanto in merito a chi ti sta accanto, non solo in quanto partner ma in quanto essere umano con cui convivere nel mondo». 



Soluzioni concrete

La buona notizia è che qualcosa si muove e spesso le iniziative partono dal basso. Scuole, comuni, associazioni e giovanissimi lavorano su questo fronte al fine di togliere dall’ombra la naturalezza del corpo femminile. Come a Roma e in particolare all’Università Roma Tre, dove collettivi di studenti e studentesse del dipartimento di Scienze della formazione, hanno installato i primi distributori di assorbenti gratuiti nei corridoi dell’edificio.




 

A Milano il Festival del Ciclo Mestruale, nato dal primo podcast in Italia sul ciclo mestruale Eva in Rosso in collaborazione con l’azienda di logistica Ups, ha raccolto 14mila prodotti igienici – di cui 1000 assorbenti che si sono andati ad aggiungere a 13mila dispositivi donati da Ups – ed evoluti al Progetto Arca – che si occupa di garantire cure socio-sanitarie continuative – per distribuirli alle giovanissime del municipio IX di MIlano. 


Anche la tecnologia sta facendo la sua parte. L’app F.L.Y. Me propone un sistema integrato di supporto concreto che unisce tracciamento mestruale, strumenti educativi e, soprattutto, geolocalizzazione di dispenser di assorbenti gratuiti, «per affiancare e supportare le troppe persone che ancora vivono le mestruazioni come un problema logistico», spiega Eleonora La Monica, CEO & CO-Founder di F.L.Y.




Ultimo aggiornamento: mercoledì 13 agosto 2025, 05:00





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