Contro Bautista Agut lo svizzero avanzò in risposta al servizio colpendo con un rovescio in controbalzo: nacque la Sabr
Luigi Ansaloni
13 agosto – 17:14 – MILANO
Dieci anni fa a Cincinnati andava in scena per la prima volta una delle più famose dimostrazioni di genio applicato al tennis, ovvero la Sabr, acronimo di “Sneak attack by Roger”. Il Roger in questione, ovviamente, era Roger Federer, che al suo già sterminato repertorio di magie ne aggiunse un’altra. Assolutamente folle, inimmaginabile per chiunque altro. Non è un caso che nessuno si sia mai sognato di ripeterla, tranne Nick Kyrgios, uno che come talento a tennis era secondo a pochi (peccato per la lingua…), con risultati diciamo altalenanti. Ad agosto del 2015 Federer veniva dalla finale persa a Wimbledon, la seconda di fila, contro Novak Djokovic, incontrastato numero uno al mondo e al prime assoluto della sua carriera. Per contrastare “RoboNole” in vista della trasferta sul cemento americano e dello Us Open, toccava inventarsi qualcosa. Quello che nacque come un gioco da una sessione di allenamento noiosa, con quell’altro matto di Benoit Paire, alla fine diventò un’arma micidiale, anche se non sempre replicabile per via della difficoltà del colpo, straordinariamente elevata e fattibile solo in certe occasioni.
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Ma cos’era la Sabr? Una risposta al servizio in anticipo, con uno scatto velocissimo in avanti al momento del caricamento della battuta dell’avversario per chiudere con un colpo in controbalzo quasi a metà campo con una palla che viaggia a 200 chilometri all’ora. Facile, no? Federer poteva permetterselo per la sua sovrumana capacità di sentire la palla in qualsiasi condizioni, con un senso dell’anticipo impareggiabile grazie al suo polso, parte del corpo nel suo caso baciata dagli Dei, che gli faceva fare cose vietate agli altri suoi colleghi. Da un punto di vista tecnico, la Sabr toglieva un tempo di gioco, forse anche due, all’avversario. Una risposta a metà campo, ritrovandosi poi Roger a rete nel giro di pochi attimi, non ti dava materialmente il tempo di imbastire una difesa. Chi subiva la Sabr in decimi di secondo doveva uscire dal servizio, capire il perché la palla fosse già di ritorno e poi trovare la coordinazione per fare un passante. A Federer…
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Il primo a subirla fu Roberto Bautista Agut, nel secondo turno di Cincinnati 2015. Palla break per lo svizzero, Federer che si catapulta sul servizio dello spagnolo con una risposta di rovescio in mezzo volo vicino la riga. Bautista Agut abbozzò un qualcosa che andò a finire in corridoio, Federer non fece una piega, e attorno a loro il pubblico non ci capì granchè. La cosa però piacque, e parecchio. In fondo, era un colpo altamente spettacolare, tecnicamente incredibile. Quasi irrispettoso, tanto che qualche polemica la sollevò, con il fuoriclasse elvetico accusato di voler quasi prendere in giro l’avversario. “E poi contro Djokovic non avrebbe mai il coraggio di farla”, sogghignavano i detrattori. Sbagliato. Federer la fece la Sabr, contro Djokovic. In finale, per giunta. E per ben due volte. Nemmeno Nole, quel Nole, riuscì a trovare la giusta contromisura, con il serbo che quasi spaccò la racchetta dal nervosismo. Fatto sta che anche grazie a quel colpo così unico, Federer battè il serbo in finale, vincendo così per la settima, e ultima volta, Cincinnati.
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