Era il 1930 quando i fratelli Paul e Joseph Galvin, fondatori della Galvin Manufacturing Corporation, inventarono la prima autoradio. La battezzarono “Motorola”, unione delle parole “motor” (auto) e “ola” (suono), segnando l’inizio di un’epoca in cui la radio sarebbe diventata una compagna fedele di milioni di automobilisti in tutto il mondo. Da allora, l’autoradio ha scandito i viaggi, raccontato il mondo attraverso voci familiari, trasmesso musica, notizie, sport, e ha persino salvato vite in situazioni di emergenza. Ma oggi, quasi cento anni dopo quella rivoluzione sonora, un altro cambiamento epocale è alle porte: secondo quanto riportato da Agcom, nei prossimi anni circa 26 milioni di italiani potrebbero ritrovarsi senza più una radio a bordo della propria auto.

Le auto elettriche e le radio digitali a pagamento…

La transizione non è frutto di un’imposizione normativa, bensì di scelte industriali legate alla produzione di auto, in particolare delle nuove vetture elettriche. Sempre più frequentemente, queste automobili vengono immesse sul mercato senza moduli FM o DAB+, le tecnologie che permettono la ricezione della radio tradizionale. In loro luogo troviamo interfacce USB, connessioni Bluetooth e sistemi di infotainment legati alle piattaforme di streaming digitale. L’industria automobilistica giustifica questa tendenza come una forma di modernizzazione: le radio digitali, come Spotify, Apple Music o podcast on demand, offrono un’esperienza personalizzata, su misura per l’utente. Tuttavia, questa “personalizzazione” ha un prezzo, e non è soltanto economico. Quando la radio tradizionale lascia spazio alle piattaforme digitali, il contenuto non è più scelto da una programmazione condivisa, ma da un algoritmo che analizza abitudini, gusti, profili. L’ascolto diventa sempre più autoreferenziale: la musica che già ci piace, i contenuti che confermano le nostre opinioni, le notizie selezionate in base a ciò che ci rassicura o ci intrattiene di più. Si perde il valore dell’imprevisto, della scoperta casuale, dell’informazione non filtrata da una logica di profilazione.

Radio rete di sicurezza collettiva

La radio è uno dei pochi mezzi ancora in grado di offrire un servizio accessibile a tutti, senza costi aggiuntivi, senza necessità di connessione internet. In molte aree rurali o montane, la radio rimane l’unico mezzo per ricevere informazioni in tempo reale, specialmente in caso di emergenze o calamità naturali. Rimuovere la radio dalle auto significa, quindi, anche togliere una rete di sicurezza collettiva. C’è un aspetto profondamente culturale nella presenza della radio in auto. Per milioni di italiani, l’autoradio non è solo un accessorio: è un simbolo di libertà, una finestra sul mondo, un modo per sentirsi parte di una comunità mentre si viaggia da soli. I programmi mattutini, le cronache sportive, i notiziari regionali, i dibattiti politici e le trasmissioni di intrattenimento costruiscono una narrazione quotidiana condivisa, capace di unire generazioni, aree geografiche, sensibilità diverse. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la radio non è un mezzo in declino. I dati parlano chiaro: in Italia, oltre il 60% della popolazione ascolta la radio ogni giorno. La DAB+ (Digital Audio Broadcasting) sta prendendo piede e permette una qualità audio superiore e una maggiore quantità di canali. Molti giovani scoprono la radio attraverso il web e le app mobili, ma continuano ad apprezzare il suo formato immediato e autentico.

L’Unione Europea ha stabilito che tutte le nuove auto vendute dal 2021 debbano essere dotate di ricevitori DAB+, ma l’applicazione della norma non è uniforme, e molte case automobilistiche trovano modi per aggirarla, puntando su modelli più tecnologici e meno “radio-dipendenti”. Anche il mondo radiofonico deve evolversi, investendo nella radio ibrida, che unisce trasmissioni analogiche e digitali, e sfruttando le potenzialità delle app per raggiungere gli utenti anche su smartphone e tablet, senza perdere la propria identità – Non si tratta di nostalgia. La questione dell’autoradio è un indicatore concreto del rapido mutamento dei media. Se 26 milioni di italiani dovessero davvero trovarsi senza radio in auto, non sarebbe solo un problema di intrattenimento, ma la spia di un cambiamento molto più profondo: quello della transizione da un’informazione collettiva e libera a un consumo individuale e controllato. In un mondo dove tutto è personalizzato, ricordiamoci che c’è ancora valore nella condivisione. E che, a volte, una voce alla radio può fare la differenza tra il sentirsi soli e il sentirsi parte di qualcosa.

Tullio Camiglieri