Per la Red Bull, il 2025 passerà alla storia come una stagione spartiacque. Non certo dal punto di vista dei risultati, bensì sul piano concettuale. L’addio di Christian Horner è sufficiente a rendere epocale l’annata corrente, poiché il britannico guidava il Drink Team letteralmente da sempre, ovvero dal momento in cui, nel 2005, la multinazionale austriaca si è impegnata direttamente in F1.

Il cinquantunenne inglese ha pagato un prezzo salatissimo per il calo di competitività della struttura di base a Milton Keynes, dalla quale peraltro era da tempo cominciato un fuggi-fuggi di figure di alto profilo nell’ambito ingegneristico e gestionale. L’addio di Adrian Newey, trasferitosi all’Aston Martin, è l’esempio più eclatante, ma è stato altrettanto significativo il meno pubblicizzato passaggio di Jonathan Wheatley, figura chiave del team dal 2006, alla Audi.

Red Bull nei due anni scarsi trascorsi tra la metà di luglio 2022 e la fine di giugno 2024 ha vinto 39 GP su 44, dopodiché si è accartocciata, imponendosi solamente in 4 delle 26 gare successive. Il Mondiale piloti dello scorso anno, il quarto consecutivo, è stato comunque vinto in virtù del vantaggio acquisito in partenza, del talento di Max Verstappen e dell’incostanza altrui.

Cionondimeno, nella classifica costruttori il team è scivolato al terzo posto. Sergio Perez è stato letteralmente massacrato dagli addetti ai lavori, però bisognerebbe chiedergli scusa, perché nel suo caso il tempo si è rivelato galantuomo. Cosa sta combinando Yuki Tsunoda, che ne ha preso il posto dopo l’estemporanea parentesi Liam Lawson?

In effetti, il Drink Team si è sempre più incollato attorno alla figura di Verstappen. Il siluramento di Horner ha rappresentato la definitiva trasformazione della struttura anglo-austriaca in una seconda pelle del pilota olandese, ormai personificazione stessa della squadra. Non è un bene, perché significa dipendere in tutto e per tutto da Super Max.

Si dipende da un fenomeno, ma nessun fuoriclasse può vincere se non è attorniato da figure capaci nel settore tecnico e gestionale. Con tutto il rispetto per Laurent Mekies, l’impressione è che il suo sia un papato di transizione. Transizione verso cosa, però? Nel 2026 chi tornerà a gareggiare con il numero 33 sarà ancora dov’è. Più per mancanza di alternative che per scelta vera e propria. Però poi cosa accadrà?

Perché sic stantibus rebus, se Verstappen se ne andasse oggi, Red Bull collasserebbe. Non ha alternative concrete, la seconda auto viene schierata solo per obbligo e la struttura interna è tutta da riorganizzare. Come? Domanda a cui è impossibile dare una risposta in questa sede, in quanto il futuro è nebuloso, avvolto nel limbo dell’indeterminatezza.

L’ultimo team di successo personificatosi fu la Benetton degli anni ’90. Quando Michael Schumacher si trasferì alla Ferrari, la squadra entrò automaticamente in decadenza, così gli altri uomini chiave (Ross Brawn e Rory Byrne) seguirono il tedesco a Maranello.

Nel caso di Red Bull, è stato Adrian Newey il primo tassello del domino distruttivo? Farà da magnete per il pilota in Aston Martin, o quantomeno – senza più la sua forza di gravità a Milton Keynes – spingerà l’olandese verso altre orbite (Mercedes)? Oppure, viceversa, il colosso austriaco saprà superare questa fase delicatissima tornando a vincere con Verstappen? La risposta l’avremo nei prossimi anni.