TRAPANI. “Stanno bene, mamma e figlioletta, la bambina si è già attaccata al seno”. Vito Iannone, primario di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani, tira un sospiro di sollievo. L’odissea di questa ragazza etiope salvata in mezzo al mare dalla nave Sea Watch insieme con altri 66 naufraghi, è finita in una stanza di degenza del suo reparto, dopo la rottura delle acque sulla nave della Ong, le sette lunghissime ore in attesa di aiuto, l’arrivo dell’elicottero da Lampedusa e un parto cesareo d’urgenza lunedì sera.

Sono lontane, qui, tra le puerpere in camicia da notte e i bambini con i fiocchi rosa e celesti, le grida disperate dei compagni di traversata a bordo di un gommone che annaspava tra le onde. Uomini, donne, bambini e lei, con il pancione di una gravidanza avanzata. Sono lontane anche le ore di doglie sulla Sea Watch, tra i medici di bordo, mentre il capitano ripeteva la richiesta di sbarco urgente e – denuncia la Ong tedesca – Italia e Malta si rimpallavano la responsabilità, chiedendo che intervenisse la Tunisia.

“Nel pomeriggio – racconta Iannone – la Capitaneria di porto ha contattato il responsabile dell’emergenza-urgenza territoriale, Mario Minore, che ha avvisato me e la responsabile del reparto di Neonatologia. Quando la donna è arrivata erano passate da un quarto d’ora le otto di sera. Aveva rotto le membrane da tempo, abbiamo fatto tutti gli esami e sentito il battito cardiaco fetale che non era affatto rassicurante. A quel punto abbiamo capito che bisognava fare un cesareo d’urgenza”. Così si sono aperte di corsa le porte della sala operatoria, dove si è sentito il pianto rassicurante della piccola, un fagotto di tre chili e ottocento grammi venuto al mondo tra le mani dei dottori Alice Guarano e Ignazio Rinninella, e con l’assistenza della psicologa del reparto, che rassicurava in inglese la madre.

“Generalmente le donne che fanno il cesareo – aggiunge il primario – vengono dimesse due giorni dopo l’intervento, ma in considerazione della situazione potrà stare da noi qualche giorno in più. Anche perché prima occorre capire dove andrà con la sua neonata, ha bisogno di un luogo sicuro e sereno”.

Già, il tema è proprio questo. Il presente della ragazza e del suo bambino è una stanza d’ospedale fatta di attenzioni e di accudimento, una bolla sospesa tra un passato da senza diritti e un futuro di assoluta incertezza. Che ne sarà di questa mamma? Che ne sarà della bambina? Due creature tra le tante di un mondo che scorre invisibile accanto a noi, mondo di solitudini, di violenze, di dolore. “Ce lo siamo chiesti con la caposala, nell’attesa la teniamo con noi”.

Dieci, cento, mille donne come lei, dai Paesi dell’Africa subsahariana, provano a raggiungere la Libia attraversando il deserto, subendo fame e stupri, sognando di prendere un barcone per raggiungere l’Europa. “Paradossalmente è stato un bene che questa ragazza non viaggiasse con altri figli piccoli – dice Iannone – come spesso succede. Ci è capitato di doverci occupare contemporaneamente di donne gravide e dei loro bambini, con situazioni a volte complesse. L’anno scorso arrivò una signora con una bimba di due anni che aveva un tumore all’occhio e che trasferimmo d’urgenza al Gemelli di Roma, mentre ricoveravamo la madre”.

Il primario del reparto di quest’ospedale da 1.100 parti all’anno che è centro di riferimento provinciale ne ha viste tante, dal momento che è coinvolto nel progetto Icare, che si preoccupa di dare accesso ai servizi sanitari alle donne immigrate che richiedono asilo o che l’hanno ottenuto e sono ospiti dei centri di accoglienza. “Sono donne – racconta – che spesso arrivano in condizioni di salute precaria, con scottature da carburante addosso, con segni di violenza. Generalmente è il dipartimento di Prevenzione dell’azienda sanitaria che ci chiama, oppure la prefettura: in media ne arrivano due o tre al mese, ognuna con una storia pesante alle spalle”.

A breve, per la ragazza della Sea Watch, arriverà il momento delle dimissioni, l’uscita dalla dimensione protetta dell’ospedale, dove medici e infermieri fanno a gara per assistere mamma e figlioletta. Mentre le altre madri preparano la cesta per portare a casa il loro neonato, per lei bisognerà capire che cosa sarà casa.