L’estate 2025 è un’estate silenziosa, senza hit estive. Reduci dalla stagione della brat summer, ispirata dall’album di Charlie XCX – uscito il 7 luglio 2024 – che ha dato vita a numerosi trend musicali, legati al mondo della moda, ma anche a quello della politica, come è successo durante la campagna elettorale di Kamala Harris, quando la pagina ufficiale della candidata è stata ribrendizzata con la scritta “Kamala HQ” su uno sfondo verde lime tipico dell’album della cautrice britannica. Quest’anno invece nessun album né brano ha conquistato il cuore di ascoltatrici e ascoltatori a livello mondiale. 

Nonostante siano molte infatti le micro-hit che in Italia hanno provato a cavalcare l’onda e a diventare dei tormentoni, nessuna sembra esserci riuscita. Secondo la classifica di Spotify tra i cinque brani preferiti del momento compaiono Désoléè di ANNA, La Plena di W Sound 05 di W Sound, Beèle, Ovy The Drums; Halo di Samurai Jay e Vito Salamanca e Yakuza, di Elodie, Sfera Ebbasta e Russian. Ma il fenomeno non è solo italiano. 

Nella Summer Charts di Billboard in cima alle classifiche si posiziona Ordinary, di Alex Warren; seguita da What I Want di Morgan Warren featuring Tate McRae e Just in Case, sempre di Warren. Al quarto posto, Luther, di Kendrick Lamar e SZA. Secondo gli analisti, il 2025 è stato l’anno dove sono stati prodotti meno brani nella storia americana. Secondo il report di Luminate, compagnia che si occupa di elaborare i dati per le classifiche di Billboard, dei dieci brani più ascoltati in America quest’anno, soltanto Ordinary, di Alex Warren è stato prodotto nel 2025, mentre gli altri risalgono ad anni precedenti. Secondo i dati riportati in un articolo di Chartmetrics, nella prima metà del 2025 sono state prodotte meno della metà delle hit rispetto all’anno precedente: solo ventitré rispetto alle quarantanove del 2024. 

Nel 2015, Noah Askin, ricercatore dell’industria musicale durante il Ted Talk The Recipe of a Hit Song ha analizzato cinquantotto anni di dati relativi alle classifiche Billboard Hot 100, per capire che cosa rendesse una hit tale. Delle venticinquemila canzoni apparse nelle classifiche della rivista musicale a partire dal 1958 – l’anno della sua invenzione — fino alla metà del 2013 le canzoni che hanno performato meglio e che sono rimaste più a lungo nelle classifiche sono state quelle più coerenti rispetto al resto del panorama musicale, «ma non troppo». Il ricercatore parla di brani riconoscibili, a cui il pubblico può aggrapparsi, ma che non siano troppo diversi da tutto il resto, per evitare di alienare ascoltatrici e ascoltatori.

Dall’analisi di Askin emerge che i dati acustici legati alle hit pop riguardano per esempio la ballabilità di un brano, e cioè la combinazione di caratteristiche quali il tempo, la forza del beat, la regolarità e la ritmica generale. «Nella storia delle classifiche musicali, mediamente i brani stanno diventando sempre più ballabili», e tendono quindi a performare meglio. Aggiunge anche quanto siano importanti il contesto personale e quello competitivo: «le canzoni non vengono ascoltate a vuoto: le paragoni a quello che è uscito in quel momento, situi la canzone». In questo senso parla di “tipicality”, cioè la capacità di un brano di inserirsi in un più ampio e riconoscibile universo musicale, differenziandosi però dal resto. Secondo il ricercatore sarebbe questa la chiave per rimanere più a lungo in cima alle classifiche. 

Gli artisti non sono più capaci di sfornare hit estive o non sono più interessati a farlo? C’è chi ipotizza che la mancanza di tormentoni estivi sia dovuta a una stanchezza generale, dovuta dall’iperstimolazione e alle continue notizie negative relative alla crisi climatica, alle guerre, alla crisi economica, alle tensioni geopolitiche, che non lasciano spazio per la spensieratezza che ha da sempre contraddistinto il periodo estivo. Altri, invece, trovano un responsabile nella viralità dei trend social, che ha fatto crollare la già fragile soglia dell’attenzione, rendendo anacronistica l’idea che qualcosa come una canzone possa durare, anche se solo per un’estate.

«Quello che mi colpisce è che quest’anno nessuno abbia provato a fare la hit»,  dice a Linkiesta Etc Raffaele Lauretti, fondatore e direttore artistico dell’etichetta PLUMA Dischi. Lauretti vede nella prossima edizione del Festival della Musica Italiana un’occasione possibile per recuperare l’assenza di tormentoni estivi. Ipotizza “un Sanremo di tormentoni”, a cui le multinazionali potrebbero ambire per provare a varcare anche le soglie dell’Europa, con la possibilità di arrivare all’Eurovision.

Riguardo al fenomeno generale, secondo il direttore artistico di PLUMA Dischi «abbiamo finito tutto, abbiamo conquistato il genere: siamo arrivati a un livello di accelerazionismo tale che non abbiamo più il tempo per affezionarci a nulla, e la mancanza di una hit estiva ne è un effetto collaterale». Spiega che mentre in passato si investiva sui progetti attraverso grandi piani di marketing, oggi gli artisti indipendenti sono sempre meno: tutto il mercato musicale appartiene alle multinazionali, che non hanno più bisogno di investire enormi cifre, perchè «ormai è tutto loro». 

Lauretti parla anche di una stanchezza da pop. Un fenomeno che in parte spiega come gli unici trend musicali a cui abbiamo assistito questa estate siano oggi in gran parte legati al passato. Lo è per esempio la reunion degli OASIS, ma anche la crescente affezione della Gen Z nei confronti della musica anni Ottanta. «Dal punto di vista culturale la formula della canzone pop è stata esaurita», una fine preannunciata già la scorsa estate, con Brat, che più che una hit Lauretti definisce “una hit post-moderna”: un album che ha raccolto tematiche sociali, culturali, politiche mischiandole a immaginari che hanno forse segnato l’apice e la fine di un genere. «Brat è stato legato al movimento elettorale di Kamala Harris, che però ha fallito, e forse nel clima politico del 2025 nessuno vuole più esporsi su quel fronte. Non è un caso che Donald Trump balli su YMCA, brano del 1978 dei Village People, uno dei più celebri successi degli anni Settanta». 

La Gen Z è una delle generazioni più conservatrici degli ultimi anni, e prova nostalgia per un’epoca che non ha vissuto. «Mi sembra che il futuro arrivi sempre prima, e che quindi oggi si tenda a ritornare al passato», commenta Lauretti. Una tendenza che le aziende non hanno mancato di cavalcare. «A partire dal 2020 aziende come Universal, Sony e Warner hanno investito sui cataloghi di diritti, e se ciò che è vecchio torna di moda non c’è problema, perché è sempre loro», chiude Lauretti.