martedì 12 agosto 2025 – Focus
C’è la “guerra da cinema”, ricca di eroismi e romanticismo, e c’è la guerra vera, fatta di estenuanti attese e momenti di terrore improvvisi. Warfare, codiretto da Alex Garland (già regista di Civil War) e dal veterano dei Navy SEAL Ray Mendoza, esce completamente dalla rappresentazione cinematografica tradizionale e persino da quella antieroica ma drammaturgicamente strutturata, alla The Hurt Locker o alla Niente di nuovo sul fronte occidentale, per regalarci un film-testimonianza di rara immediatezza e realismo. Warfare mostra la guerra com’è, non come ce la potremmo immaginare comodamente seduti sulle poltrone di un cinema, o sul divano di casa. Tanto è vero che un critico del Times ha scritto che è un film “tanto difficile da guardare quanto da dimenticare”.
Questo realismo estremo è frutto di un lavoro polisensoriale che ci getta nel bel mezzo della scena, immergendoci in un’esperienza viscerale che è innanzitutto acustica: l’incredibile sound design alterna momenti di silenzio sospeso e irreale al caos frenetico delle sparatorie e alle urla agghiaccianti dei feriti. Anche l’elemento visivo è epidermico: ti ritrovi in mezzo al fumo e alle traiettorie impazzite dei proiettili senza capirci più niente, come succede a chi la guerra la fa davvero, e magari è giovanissimo, come i protagonisti di Warfare e come gran parte dei militari spediti nel mondo a compiere missioni impossibili.
Un cartello inziale avvisa che Warfare si basa esclusivamente sui ricordi di chi ha partecipato davvero all’assedio in Iraq, in cui si è ritrovato un plotone di soldati speciali americani, peraltro dopo aver brutalmente sfrattato una famiglia irachena. E infatti qui non c’è una prospettiva esterna di come siano andate le cose, ma un’aderenza totale al punto di vista dei protagonisti, servita in tempo reale, comprese la noia dell’attesa nelle scene iniziali e l’angoscia al cardiopalma di quelle d’azione successive.