Joshua Pearce (Damson Idris) e Kate McKenna (Kerry Condon)

Tristan Fewings/Getty Images

Che ogni team, anche quello che sembra nato per arrivare diciassettesimo, ha una dignità e una storia. Ecco perché suggerisco nelle prossime gare di Formula 1 di tifare per Aston Martin, Sauber e Alpine: sono tutte a zero punti. Perché i successi costruiscono l’albo d’oro, ma sono i fallimenti a costruire l’identità. Che il motorsport è fatto anche di orizzonti morali, oltre che cronometrici. Come quando Joshua si ritrova davanti al bivio tra i consigli sinceri di chi lo ama e quelli interessati del proprio manager, più attento alle feste degli sponsor che alle qualità del ragazzo.

Che perfino il set-up della macchina è una filosofia. Ce ne sono per ogni esigenza: per la qualifica si rischia tutto, spremendo il motore per tre giri al massimo. Poi se si rompe, pazienza. Ma intanto, per quei tre giri, sei il più veloce al mondo. E infine, che i regolamenti, come le regole del bon ton, esistono per essere elegantemente aggirati. L’esempio dell’ala anteriore pensata per sorpassare in curva, in mezzo all’aria sporca dei turbini, è una lezione di creatività applicata alla meccanica. Di ingegneria poetica, se si può usare questa espressione.

Indossano tutti un IWC

Ecco, dopo F1, il film, mi è venuta voglia di far parte anch’io del team APXGP. Non solo per l’adrenalina, per il senso di famiglia, per la corsa contro il tempo. Ma per un dettaglio che potrebbe sembrare futile, ma non lo è: tutti, dal capo meccanico al responsabile strategico, indossano un orologio IWC. Sempre. Quando lavorano, certo, ma — immagino — anche a casa. E mi sono chiesto: e se fosse questo, il vero distintivo di appartenenza?

Tra l’altro, non avrei mai pensato che una casa d’orologeria potesse usare il motorsport per testare i propri prodotti. E invece l’IWC lo ha fatto davvero, affidando il suo Ingenieur — un modello nato per gli ingegneri, non per le passerelle — a Rocco Del Sante, pilota incaricato di metterne alla prova la resistenza. Ne vennero venduti solo 598 esemplari. Un flop all’epoca. Ma oggi, tra collezionisti, è una perla rara, amatissima dalle nuove generazioni. La dimostrazione che anche gli errori, in Formula 1 come nell’orologeria, possono diventare leggenda. Basta saperli raccontare.