Poverina (2023, Blackie Edizioni), della speaker radiofonica Chiara Galeazzi, non è solo un’autobiografia, ma il racconto di come si affronta il dolore e di come viene percepito degli altri. Con schiettezza, l’autrice racconta dell’ictus che nel 2021, ad appena 34 anni, l’ha colpita. Senza indorare la pillola ma con un condimento ironico, sono ripercorse tutte le tappe in modo preciso, dall’evento scatenante alla riabilitazione.
Le sfortune possono arrivare in qualsiasi momento della vita e non c’è la possibilità di prevederle, questo è certo. Chiara si trovava sul divano di casa, intenta a guardare una video intervista poco soddisfacente, quando sente formicolare il braccio sinistro. Un consulto con amici, l’ipotesi di un attacco di panico e venti gocce di Xanax. Infine il ricovero, con la conseguente diagnosi: «Signora, guardi, lei ha un’emorragia cerebrale». Ed è nella stroke unit dell’ospedale Niguarda, a Milano, che iniziano i due mesi di visite e sfilate di dottori – alcuni più simpatici, altri meno –. Ma anche esami con nomi poco rassicuranti, no-vax che commentano i post sui social incolpando l’autrice della sua situazione e compagni di stanza improbabili dall’età media di 60 anni. E poi la fisioterapia, con l’obiettivo di recuperare la mobilità del braccio e della gamba sinistra.
Il rapporto con il dolore: un racconto tragicomico
Ma Poverina di Chiara Galeazzi non si limita ad affrontare i fatti, mostra come le persone si interfacciano con il dolore altrui. Un punto di vista veritiero e interessante, che porta a considerare il rapporto che ognuno di noi ha con l’altro, quando pensiamo di poterci ritenere “più fortunati”. Dal tipico «Come stai?» al «Se hai bisogno ci sono». Ma anche i messaggi dei conoscenti che non sanno bene come approcciare la situazione e che esordiscono con «cucciola», «piccola», «amore». Ed è complicato stabilire se ci sia un reale interesse o se si stiano prendendo gioco di te.
Tra gli aspetti peculiari, sicuramente la facilità con cui i lettori riescono ad immaginarsi al fianco dell’autrice mentre è impegnata con esami medici, parenti e con chi ha scelto di definirla come «Poverina». Un’espressione da subito detestata, che mostra solo compassione e pietà, ma senza aggiungere altro e senza cercare nel concreto di empatizzare. A questo, l’autrice risponde in modo provocatorio al dolore. «I primi passi fuori di qui li faccio con dei mocassini di Gucci», ha confidato al ragazzo dopo che l’ospedale le ha confermato che avrebbe ripreso a camminare. Poverina, lontano dall’essere una semplice narrazione, è molto di più. Con la sua scrittura tragicomica – capace di far ridere e piangere allo stesso tempo – Chiara Galeazzi invita a riflettere sul come è percepita la sofferenza, mettendo in discussione i modi, spesso impersonali, con cui ci relazioniamo al dolore altrui.