Non è una bufera di neve quella che in queste giornate sta travolgendo Marco Confortola, ma una tempesta di accuse che scuote il mondo dell’alpinismo. Dopo aver annunciato il compimento del suo sogno – la conquista di tutti i quattordici ottomila del Mondo, completata con la recente salita al Gasherbrum I (8.080 m)– l’alpinista di Valfurva si trova ora al centro di una contestazione che mette in dubbio la veridicità di diverse ascensioni.

La miccia si è accesa lo scorso 7 agosto con un articolo della rivista del Club Alpino Italiano, Lo Scarpone, che, “contattata da diversi alpinisti perplessi”, ha riportato i dubbi circolanti da tempo per mano di Guido Sassi. Di tutta risposta Confortola aveva reagito parlando di maldicenze e invidie, ma poco dopo è arrivata la pesante accusa di Simone Moro, uno degli alpinisti italiani più noti, che in un’intervista rilasciata al direttore Gian Luca Gasca ha messo in fila le contestazioni nella speranza che “possa servire ad avere più pudore prima di chiamare certe persone simbolo di etica e valori”.

“Sono felice se si parla di alpinismo ma, se se ne parla a sproposito, allora sì che mi fa male. Io non conosco Confortola e non ho nulla di personale contro di lui. Anzi, ho pietà umana. Tra di noi, alpinisti, ce lo siamo sempre detti, tutti hanno sempre saputo che c’erano delle verità da raccontare e delle scalate da provare, ma nessuno della comunità ha mai avuto il coraggio di esporsi chiaramente. Speravo che lo facessero ora, tutti quelli che hanno delle testimonianze. Ma ancora una volta appuro che tra di noi ci si dice delle cose e si ha il coraggio di scalare delle montagne ma non di difendere una verità. Io so benissimo che quello che sto facendo è scomodo, e non avrei alcun bisogno di farlo”, ha rimarcato il bergamasco.

Le accuse

Moro accusa il collega di aver manipolato immagini e fornito prove false, citando spedizioni in cui, a suo dire, Confortola non avrebbe mai toccato le vette dichiarate. Le scalate contestate sono numerose. Sul Lhotse (8.516 m), l’immagine diffusa dal valtellinese sarebbe stata in realtà lo scatto dell’alpinista basco Jorge Egochega poi ritoccato.

Sul Makalu (8.463 m), la celebre foto di Confortola con in mano la bandiera “numero 58” per celebrare il compianto Marco “Sic” Simoncelli mostrerebbe una cima secondaria, distante dalla vetta principale. Sul Kangchenjunga (8.586 m), testimoni avrebbero visto Confortola fermarsi ben prima della sommità, mentre la foto pubblicata proveniva da un altro scalatore, Shehroze Kashif, alpinista pakistano che vive negli Stati Uniti.

Dubbi emergono anche sull’Annapurna (8.091 m), dove il compagno di spedizione Silvio Mondinelli ha raccontato di aver incontrato l’alpinista di Valfurva mentre era in fase di discesa per poi fare rientro al campo base insieme, e sul Dhaulagiri (8.167 m), con immagini che non lo collocherebbero sul punto più alto. Infine il Nanga Parbat (8.126 m): in un primo momento Confortola aveva ammesso di non aver raggiunto la vetta con una lettera inviata al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, salvo cambiare versione e includerla nel proprio elenco forte di un certificato del CAI pakistano che attesta il raggiungimento della cima.

Questione etica

Per Moro al centro di questa vicenda c’è una questione che va oltre l’impresa alpinistica. “Quello che stiamo portando avanti non è un trattamento contro Confortola, ma a favore della verità e degli obblighi e doveri di un alpinista: se vai nelle scuole, se vuoi fare il formatore, vuol dire che sei un simbolo di onestà, del senso civico e dei valori. E nei valori c’è anche quello della verità e di saper provare la tua verità. Di accettare il dubbio e la sconfitta”.

È per questo che la proposta avanzata da “Gnaro” Mondinelli di affrontare la questione pubblicamente viene sposata dall’alpinista e elicotterista bergamasco. “Sediamoci allo stesso tavolo, con tutti gli attori e componenti delle varie spedizioni a cui ha partecipato Confortola e parliamo, invitando tutti quelli che hanno portato versioni e dichiarazioni diverse dalle sue. Siamo tutti bugiardi? C’è in atto un complotto internazionale contro di lui? Sherpa che danno versioni, fotografie truccate, testimoni oculari, tutto solo e tassativamente falso? E per cosa? Per offuscare una bella e prestigiosa collezione fatta ormai da decine di persone sulla pista battuta con corde fisse già posizionate e con l’aiuto di sherpa? Tutti si sarebbero ora esposti solo per questo? E quale sarebbe la convenienza e il tornaconto per farlo? Alpinisti affermati che si prendono la briga di parlare lo fanno solo per non essere omertosi di fronte a una piega non certo virtuosa del modo di raccontare l’alpinismo e le cime raggiunte. Dai, siamo seri, non vi sembra così evidente che valga la pena un esercizio di onestà e verità su tutta questa vicenda alpinistica?”.