Ultim’ora news 14 agosto ore 17
La percezione diffusa in Italia è che il livello di copertura del welfare pubblico si sia drasticamente ridotto nel tempo. Così come emerge dal 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis il giudizio prevalente è che il sistema di tutele pubbliche si limiti alle prestazioni essenziali, mentre per il resto si paga direttamente di tasca propria. Lo pensa il 50,4% degli italiani. Il 49,4% è convinto che occorra ricorrere a strumenti di autotutela, come polizze assicurative e fondi integrativi. Dato eloquente è quello dell’incidenza della spesa sanitaria, cosiddetta out of pocket, quella cioè sostenuta direttamente dal cittadino: negli ultimi dieci anni, tra il 2013 e il 2023, si è registrato un balzo del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato i 44 miliardi di euro. Il sistema sanitario è infatti a pilastri come quello previdenziale. C’è un pilastro pubblico che è il sistema sanitario nazionale.
Come funziona la sanità integrativa
Poi c’è la sanità integrativa che può essere collettiva, legata cioè a una collettività specifica, o individuale che in pratica comprende le polizze salute proposte dalle compagnie assicuratrici. Dagli ultimi dati sulla diffusione della sanità integrativa in Italia emerge che circa il 25% è in possesso di una copertura sanitaria. Questo valore include sia le polizze per infortuni sia quelle per malattia, senza differenziare fra polizze individuali e schemi collettivi di assistenza sanitaria (come fondi, mutue o casse, si veda box).
Per quel che riguarda poi il profilo previdenziale, lo studio del Censis rileva che per l’81,5% degli italiani la previdenza inevitabilmente andrà incontro a grandi difficoltà dato l’invecchiamento della popolazione. L’81,2% dei giovani è convinto che per garantirsi una vecchiaia serena sono fondamentali i risparmi. Secondo il 62,8% dei consulenti del lavoro, tra il 2023 e il 2025 è aumentato il numero delle pmi che ha adottato o ampliato strumenti di welfare, con una crescita particolarmente marcata nel Nordest, dove la percentuale raggiunge il 69,2%. Sono alcune delle evidenze che emergono dal terzo rapporto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, realizzato in collaborazione con Pluxee, sulla diffusione del welfare aziendale tra le pmi italiane. Come costruire allora un menù di welfare famigliare?
Il rischio salute
Partendo dalla copertura del rischio salute occorre valutare i possibili strumenti in ragione della propria professione. Nel caso in cui si sia lavoratori dipendenti la via è quella sanità integrativa collettiva che si concretizza tramite tre tipologie: fondi sanitari, casse e società di mutuo soccorso. Ad esempio sul fronte dei fondi sanitari negoziali, ci sono Meta Salute nel metalmeccanico, Sanimoda, nella moda, Faschim nel chimico, Cadiprof per i dipendenti degli studi professionali).
A queste si aggiungono poi le polizze sanitarie collettive create dalle compagnie assicurative (accanto a quelle individuali) che vengono spesso utilizzate dalle forme sanitarie integrative collettive sopra citate come strumento per coprire il rischio salute della collettività di riferimento.
Va sottolineato come fondi sanitari, casse e società di mutuo soccorso, che sono enti no-profit, forniscono coperture in modo analogo al Sistema Sanitario Nazionale ovvero nel rispetto del carattere universalistico della copertura e non effettuano la selezione dei rischi sanitari. Sono strutturate cioè sul criterio della mutualità per cui il lavoratore può essere iscritto senza preclusioni e senza indagini sulle pregresse condizioni di salute, con un contributo standard e uguale per tutta la platea dei potenziali destinatari, non differenziato cioè individualmente. Le forme sanitarie collettive hanno poi costi più bassi rispetto alle assicurazioni private individuali potendo attivare sensibili economie di scala legate al profilo dimensionale. Va ancora evidenziato come se queste tre forme sanitarie si iscrivono alla specifica anagrafe presso il ministero della Salute, i contributi versati sono deducibili entro il limite annuo dei 3.615,20 euro (con detraibilità del 19% delle spese non rimborsate che eccedono l’importo di 129,11 euro).
Le opzioni per liberi professionisti
Nel caso in cui si sia liberi professionisti con un albo professionale (come gli avvocati, i dottori commercialisti, gli ingegneri) è opportuno verificare se la propria Cassa di previdenza abbia sottoscritto polizze sanitarie collettive (ad esempio la Cassa forense ha specifiche polizze collettive). Come sottolinea il Rapporto annuale dell’Adepp tra le voci principali delle prestazioni di welfare erogate dalle Casse di previdenza emergono infatti proprio gli interventi legati al fabbisogno sanitario, che rappresentano la fetta più consistente del totale con oltre 97 milioni di euro. Questa cifra testimonia l’importanza attribuita alla salute come priorità strategica, sia attraverso la prevenzione che tramite il sostegno in caso di malattia.
Per chi non sia dotato di coperture sanitarie integrative su base collettiva la via è quella delle assicurazioni sanitarie individuali, ovvero le polizze sanitarie (che come accennato possono essere anche collettive in caso di appartenenza ad una collettività bene individuata come per esempio i dipendenti di una azienda). Nella scelta della copertura più adatta per le proprie esigenze bisogna tenere conto non solo del premio che si deve pagare, ma anche delle coperture garantite, di quelle escluse e degli importi massimi stabiliti per gli indennizzi. In generale, il premio varia a seconda delle garanzie offerte. Occorre allora scegliere le coperture di cui si abbia davvero bisogno. Per esempio, se si vuole avere il rimborso delle spese mediche in caso di ricovero o di un intervento chirurgico, bisogna fare attenzione a quelle che restano a proprio carico oppure che saranno rimborsate solo con la stipula di opzioni aggiuntive e il conseguente pagamento di un’integrazione di premio. Le polizze sanitarie non prevedono la deducibilità dei contributi, ma come per le collettive è possibile la detraibilità del 19% delle spese non rimborsate che eccedono l’importo di 129,11 euro.
Facendo un paragone con la previdenza complementare le polizze salute individuali sono un po’ come i pip (piani individuali di previdenza) o i fondi pensione aperti individuali, mentre i fondi sanitari, le casse e le mutue sono, come si diceva, organismi collettivi, di solito stabiliti dalla contrattazione collettiva, quindi in questo caso ricordano i fondi pensione negoziali.
Autosufficienza nel mirino
Attualmente, in Italia, di fronte alle limitate risorse pubbliche, il sostegno per la non autosufficienza (long term care) è offerto da fondi pensione complementari, dai fondi sanitari integrativi, dal mercato assicurativo attraverso polizze individuali e collettive e da altre forme di copertura, disposte in taluni settori dal contratto collettivo nazionale di categoria. Per chi non gode di tutele private l’assistenza è prestata dalle famiglie, direttamente o attraverso badanti, mentre il sistema pubblico, oltre a offrire cure domiciliari, integra i redditi familiari con la cosiddetta indennità di accompagnamento. Ma in presenza di tutele pubbliche che non bastano per fare fronte alle nuove esigenze del Paese generate dall’invecchiamento demografico e dal calo delle nascite, Assoprevidenza, che di recente ha organizzato un seminario in collaborazione con il Consiglio Nazionale degli Attuari, ha ribadito la necessità, sempre più urgente, di integrare l’offerta dello Stato con un secondo pilastro di coperture private di long term care, estese ed efficienti. «L’obiettivo di Assoprevidenza», ha sottolineato Sergio Corbello, presidente dell’associazione per la previdenza e l’assistenza complementare , «resta quello di pervenire a medio termine a una copertura di long term care a vita intera per tutti i cittadini».
Come integrare la pensione
Per quel che riguarda l’esigenza previdenziale se si sia lavoratori dipendenti la via suggerita è quella della adesione in forma collettiva per avere il diritto al contributo del datore di lavoro. È necessario allora verificare se esista un fondo pensione negoziale, preesistente o un fondo pensione aperto individuato come forma previdenziale di riferimento in virtù della contrattazione collettiva. In Italia esistono 33 fondi pensione negoziali, 40 aperti, e 161 preesistenti. Nel caso in cui non fosse possibile la adesione su base collettiva e per i lavoratori autonomi/liberi professionisti la soluzione è invece quella di accedere a forme pensionistiche individuali (fondi pensione aperti e piani individuali di previdenza, ovvero i pip). Nella scelta della soluzione va considerata la ampiezza delle linee, la tipologia delle rendite offerta, i costi.
Va ricordato poi il trattamento fiscale di favore di cui beneficia il risparmiatore previdenziale con la deducibilità dei contributi versati fino al limite annuo dei 5.164,57 euro e la tassazione dei rendimenti con aliquota del 20%, inferiore rispetto a quella degli altri redditi finanziari (26%). Inoltre le prestazioni erogate da un fondo pensione sono soggette ad aliquota del 15% con anzianità di iscrizione fino a 15 anni. Per ogni anno successivo, l’aliquota si riduce di uno 0,30% per arrivare al 9% con il compimento di 35 anni di partecipazione. (riproduzione riservata)