La nomina degli idoli dei no-vax Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle pone adesso il ministro in una posizione molto complicata, messo all’angolo dalle stesse parti della maggioranza che gli hanno suggerito quei nomi. Le ipotesi di dimissioni del ministro o di un nuovo decreto che sancisca lo scioglimento del comitato sono entrambe rischiose

Sono stata tra i primi a denunciare la nomina di figure scientificamente discutibili all’interno del Nitag, il Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle Vaccinazioni, ma a partire da quella palla di neve – che sia chiaro, non mi pento di aver lanciato – si è formata una valanga che potrebbe fare perfino più danni.

In seguito a questo episodio potrebbe trarre infatti nuovo vigore, invece che uscirne scornata, proprio quella componente della maggioranza che non solo cerca consenso con dichiarazioni preoccupate riguardo ai vaccini, ma ha rivendicato la difesa della sovranità nazionale quando ha rifiutato di partecipare al trattato dell’Organizzazione mondiale della sanità (che la sovranità nazionale non toglie, ma ci aiuterebbe ad affrontare meglio la prossima pandemia) e, soprattutto, è concentrata sul tema centrale del momento: invece che lavorare per salvare il Servizio sanitario nazionale, approfittare della sua crisi per dare ulteriore spazio alla sanità privata.

Ora, infatti, si parla di dimissioni del ministro o di un suo nuovo decreto che sancisca lo scioglimento del comitato, in attesa di nominarne un altro. Ma non definirei nessuna di queste due opzioni come una vittoria della scienza sulla politica, quanto piuttosto il contrario. I Nitag (National Immunization Technical Advisory Group) sono organi multidisciplinari di esperti a livello nazionale che, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, dovrebbero fornire raccomandazioni basate su prove scientifiche ai decisori politici e a chi gestisce le campagne vaccinali.

Dovrebbero farlo seguendo criteri condivisi con gli altri Nitag del mondo (o almeno di Europa) e relazionarsi con questi. Non sono organi di rappresentanza che debbano raccogliere i portavoce di tutte le diverse parti in causa o di tutte le parti politiche, né un distaccamento del ministero o dell’Istituto superiore di Sanità.

Di fatto, in Italia, il Nitag non è mai riuscito a svolgere questo ruolo: invece di fornire dati scientifici alla politica perché questa prendesse decisioni informate, di fatto si è sempre limitato a prendere atto di quel che la politica (di qualunque colore fosse) aveva già deciso. Quando ci ha provato, è stato del tutto ignorato. Niente di nuovo per il nostro paese, dove questa prassi non vale solo per i vaccini, ma per la maggior parte delle consulenze tecniche chieste da governi e partiti.

Nel caso specifico del Nitag, quindi, la presenza di due membri controversi in pratica non avrebbe cambiato nulla, sia perché si tratta di una piccola minoranza, 2 su 22, sia per lo scarso impatto concreto di questo organismo di cui anch’io in passato ho fatto parte. Come scrivevo la scorsa settimana, il mio timore, poi largamente confermato, era che ai due personaggi venisse attribuita da questa nomina un’autorevolezza che non avevano mai avuto prima. La giustificazione che questa apertura servisse a mostrarsi aperti al dialogo e al confronto non regge. Quel che è lecito – anzi, doveroso – è dar voce a opinioni diverse su temi o scelte controverse, non a chi nega il consenso scientifico internazionale basato sui dati.

Ho firmato anch’io la petizione su Change del Patto trasversale per la Scienza che chiede la revoca delle nomine di Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, ma sapendo che oramai la frittata era fatta. A questo punto il ministro della Salute Orazio Schillaci ha le mani legate, messo in trappola, a mio parere, dalle stesse parti della maggioranza che gli hanno suggerito questi nomi, convincendolo che fosse un gesto di apertura. Anche se i due accettassero di defilarsi da soli, uscendone come martiri con una medaglia in più da appuntarsi sul petto, saranno gli stessi politici che li hanno voluti a convincerli a tenere duro.

La palla è ormai tornata (se mai ne è uscita) nel campo esclusivo della politica: la sicurezza, l’utilità e l’opportunità dei vaccini contano poco. Contava da un lato assestare un altro colpo a quel centro-sinistra che da un lato ha deciso, da molto tempo, di fare dei vaccini una bandiera di parte («Vota i vaccini, vota la scienza, vota il Pd», si leggeva sui manifesti); dall’altro si è trovato a gestire la crisi pandemica diventando facile bersaglio di qualunque recriminazione.

Ma non mi sorprenderei che ci fosse anche la volontà di togliere di mezzo un ministro che, pur nella sua debolezza, è un medico che non avvallerebbe mai davvero derive antiscientifiche e che si dice paladino del Servizio sanitario Nazionale.

I parlamentari della Lega Alberto Bagnai e Claudio Borghi, membri della commissione Covid, cavalcano il momento, e si preoccupano di non restare indietro rispetto agli «Stati Uniti (dove) il mainstream appare in rapida evoluzione».

Ecco, se il risultato di questa levata di scudi per la scienza si tradurrà nella sostituzione di Schillaci con altri esponenti della maggioranza antivaccinista, isolazionista rispetto all’Organizzazione mondiale della sanità e decisa a riprodurre il modello statunitense di sanità privata, gli effetti saranno molto più gravi della presenza di Bellavite e Serravalle all’interno del Nitag.

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