Vi ricordate quando Daniel Dae Kim ci aveva dato a bere di non sapere una parola di inglese in Lost? Fa molto ridere vedere la situazione “capovolta” quando questi interpreta un americano in Corea, e viene rimbeccato per il suo pessimo accento quando parla coreano. La prima stagione della nuova serie di Prime Video Butterfly è adattata (moooolto liberamente) dalla graphic novel omonima di Arash Amel e Marguerite Bennett; nella sua versione televisiva l’azione si sposta in Corea del Sud, dove l’ex-mercenario David Jung (Daniel Dae Kim) si è nascosto e ha cominciato una nuova vita.

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È proprio a Seoul che, dopo molti anni, ha finalmente l’occasione di entrare in contatto con Rebecca (Reina Hardesty), che non solo è un’assassina per Caddis, l’organizzazione di intelligence privata che ha fondato e lasciato, ma è anche sua figlia, abbandonata nove anni prima quando è sparito nel nulla. Cosa vuole da lei? Salvarla da Caddis, che nel frattempo è diventata molto grossa e molto cattiva, e riunire la famiglia (a margine: la “famiglia” verrà nominata così tante volte che nanche Vin Diesel nella serie Fast & Furious). La spietata Juno (Piper Perabo), direttrice di Caddis, non prende bene né il fatto che David sia vivo, né che Rebecca decida di tagliare la corda per fuggire con il padre ritrovato. La caccia alla famiglia Jung li porterà da un lato all’altro della Corea su auto, moto, treni, navi, e provocherà un numero non irrisorio di morti ammazzati.

Idee così così, esecuzione spassosa

Dalla sua, Butterfly ha che è davvero divertente; le sequenze d’azione non hanno niente di inedito e, anzi, pescano elementi molto amati di recente come gli accompagnamenti musicali furbetti, ma sono comunque accattivanti e scenografiche. Aiuta il fatto che la tensione è tanta e continua: la storia non rallenta quasi mai e preferisce piuttosto svolgere le funzioni drammatiche durante l’azione. Cuore a cuore padre-figlia? Perché non farlo mentre si spara fuori da un finestrino?

È così che porta avanti il suo centro, ovvero la storia familiare, senza mai perdere ritmo; anzi, usando il tumulto emozionale dei protagonisti per rendere le cose ancora più incasinate e farle risolvere con dei mitra. Al cuore di Butterfly c’è il rapporto complicato e tutto da ricostruire tra Rebecca e David, ma anche quello tra Rebecca e Juno, che l’ha cresciuta e fatta diventare una killer, ma anche di Juno e del figlio Oliver, che lavora per Caddis ma è un po’ un brocco.


“Cool guys don’t look at explosions” continua a dimostrarsi vero.

Se il protagonista, David, può avere delle motivazioni complicate ma è essenzialmente un buono in tutto e per tutto, la sua antagonista, Juno, è molto più interessante e sfaccettata. Nel passato i due avevano fondato Caddis assieme: ma se il primo aveva scopi nobili, la seconda nutriva grandi ambizioni da mercenaria; una delle mie battute preferite dell’anno è senza dubbio “L’unico nemico che ho è la pace”, pronunciata senza fare una piega. Caddis è diventata un impero nel mondo dello spionaggio e Juno ne è l’imperatrice: non è intrinsecamente cattiva, ma si dimostra inarrestabile quando ha un obiettivo, e totalmente concentrata sul suo tornaconto. È fredda, calcolatrice, finché non vengono tirati in ballo il figlio Oliver o (la figlia putativa) Rebecca, ed è davvero sfizioso vederla negoziare nella sua testa quello che è disposta a fare per loro e come può rigirarlo per l’interesse della compagnia.

In Corea è tutto più bello

È da notare che, sorprendentemente, l’ambientazione coreana non è solo un espediente per essere a passo con i trend: la Corea che fa da sfondo alle avventure di David e Rebecca è un luogo tangibile e “normale”, non solo una sequenza di luoghi turistici (anche se non possono mancare le Blackpink nella colonna sonora). È un posto evidentemente conosciuto da chi ha scritto la sceneggiatura, non solo uno sfondo; in generale, la familiarità con la cultura coreana (un grande esempio è il rapporto tra David e la famiglia di sua moglie) aggiunge un ulteriore livello di interesse alla storia.


Per juno, oliver sarà l’eterno secondo a rebecca. Forse.

Butterfly ha una struttura compatta e non si perde in diversivi e false piste; forse è proprio per via di questa semplicità narrativa che è difficile raggiungere il coinvolgimento quando le motivazioni dei personaggi sono ancora nebbiose. Fanno cose, sparano proiettili, si inseguono: ma perché? Da cosa esattamente stanno scappando? Quale è la posta in gioco? La risposta è soddisfacente, ma arriva forse troppo tardi per creare davvero un legame con i protagonisti.

È un peccato che, nonostante ci sia molto di buono, non ne venga fuori una serie eclatante e imperdibile; c’è il gusto del k-drama, l’intrigo dello spionaggio, azione a pacchi, il melodramma familiare. Gli attori sono mediamente molto capaci (con dei cameo mica da ridere!) e hanno ruoli interessanti; tutti gli elementi funzionano, specialmente durante le prime puntate che sono davvero intriganti, ma nel complesso Butterfly non ha niente che lo faccia stagliare sopra ai tanti thriller in circolazione.

Butterfly non fa grandi errori, anzi: utilizza gli elementi classici dell’azione e racconta una storia familiare coinvolgente. Di contro, nonostante risolva la vicenda nel breve arco di sei puntate, aspetta un filo troppo a chiarire gli snodi centrali delle motivazioni dei protagonisti, e se è bello vedere le esplosioni e gli inseguimenti, è difficile provare pieno interesse per certe situazioni. Una serie divertente, ma non un capolavoro.