Sarah Tuttle-Singer

Scrive Sarah Tuttle-Singer: Il 7 ottobre, quando Hamas e altri terroristi palestinesi fecero irruzione in Israele perpetrando l’attacco più sanguinoso contro ebrei dai tempi della Shoah, i terroristi spararono ai neonati nelle loro culle, stuprarono donne e le trascinarono per le strade, bruciarono vive intere famiglie chiuse nelle stanze rifugio, lanciarono bombe a mano contro giovani inermi nascosti nei precari rifugi anti-aereo e rapirono centinaia di persone deportandole nei tunnel di Gaza, dove ancora si trovano una cinquantina di loro.

E filmarono queste atrocità mentre le commettevano.

Trasmisero in diretta streaming i loro filmati a tutto il mondo. Telefonarono alle famiglie delle vittime perché vedessero in diretta le torture e l’assassinio dei loro cari.

Screenshot da un filmato della body-cam di terroristi di Hamas mentre trucidano civili dentro un veicolo israeliano durante la carneficina del 7 ottobre 2023

Non fecero nessuno sforzo per nascondere ciò che stavano facendo. Non se ne vergognavano, tutt’altro. Era la loro propaganda e volevano che tutto il mondo la vedesse.

In effetti, io stessa ho saputo che una persona che conoscevo era stata assassinata perché mi è stata inviata una foto del suo cadavere su Telegram dopo che avevo postato la notizia della sua scomparsa.

Meno di due anni dopo, mentre gli ostaggi ancora in vita marciscono, umiliati e torturati, nei tunnel dei terroristi, il Toronto International Film Festival ha deciso che questa storia è troppo rischiosa da mostrare: non perché sia falsa (ovviamente non lo è) e non perché sia incendiaria, ma perché gli autori del film non hanno ottenuto il permesso dagli autori del massacro di usare i loro video.

Follia pura.

Questi codardi che si atteggiano a moralisti hanno ritirato il film The Road Between Us: The Ultimate Rescue (“La strada fra noi: l’estremo salvataggio”), un documentario sulla coraggiosa missione del generale in pensione delle Forze di Difesa israeliane Noam Tibon che il 7 ottobre si lanciò al salvataggio della sua famiglia e di altre persone dal massacro nel kibbutz Nahal Oz e al Supernova music festival.

La motivazione ufficiale: “Manca l’autorizzazione legale” per l’uso delle riprese girate da Hamas, oltre a non meglio specificate preoccupazioni su “sicurezza” e “logistica”.

Il generale in pensione Noam Tibon, protagonista del docu-film “The Road Between Us: The Ultimate Rescue”, qui fotografato l’11 maggio 2024 a Gerusalemme durante una manifestazione anti-governativa

Soffermiamoci un momento a considerare bene la cosa.

Un importante festival cinematografico internazionale sta di fatto dicendo: se gli assassini non firmano la liberatoria, il massacro non potrà essere visto.

Ha affermato il comico e commentatore Benji Lovitt: “Il Toronto International Film Festival ha annullato la proiezione di un documentario sul 7 ottobre perché i registi non hanno ricevuto l’autorizzazione dai terroristi di Hamas, le cui clip sono presenti nel film: immaginate il processo di Norimberga che rifiutava filmati nazisti perché non era riuscito a far firmare la liberatoria a Goebbels”.

Il paragone è brutale, ma perfettamente calzante.

Le forze alleate non fermarono il processo di Norimberga per ottenere la firma di un ministro della propaganda nazista. Usarono i filmati come prova, non perché giustificassero in qualche modo quel che mostravano, ma perché il mondo doveva vedere la verità con i propri occhi.

I vari festival cinematografici hanno proiettato film che utilizzano filmati di nazisti, dell’ISIS, dei signori della guerra e degli squadroni della morte in tutto il mondo. Nessuno ha chiesto l’autorizzazione per il copyright agli eredi di Osama bin Laden. Nessuno ha chiesto il permesso ai Khmer Rossi.

Allora, perché solo adesso? Perché solo in questo caso?

La risposta è tanto sgradevole quanto evidente: la sofferenza degli ebrei è diventata politicamente sconveniente. Oggi, in troppi ambienti gli ebrei sono considerati un tipo “sbagliato” di vittime, mentre i loro torturatori e assassini sono la causa “giusta”.

Come il Corriere della Sera ha dato la notizia il 14.8.25

Festival cinematografici come il Toronto International Film Festival non si limitano ad accudire l’arte. Accudiscono la memoria. Rifiutandosi di proiettare questo film, stanno dicendo al mondo che le testimonianze del 7 ottobre sono condizionate, che la verità su un massacro può essere bloccata dalla burocrazia o dall’imbarazzo politico di vedere gli ebrei come prede, e non come predatori.

L’autorizzazione non c’entra. C’entra molto la paura. Paura delle proteste, paura dei disordini, delle minacce pro-Pal, paura dei titoli che potrebbero seguire.

E – penso – paura che la gente debba fare i conti con il trauma e la sofferenza degli ebrei.

E così, il Toronto International Film Festival ha scelto la strada più facile: rimuovere il film, rilasciare una dichiarazione dal tono gelidamente burocratico e sperare che l’indignazione si esaurisca più rapidamente del ciclo delle notizie.

Diciamolo chiaramente: il Toronto International Film Festival non ha nessun bisogno dell’autorizzazione di Hamas.

L’unica autorizzazione che vogliono è quella dei giudici della pubblica morale culturale che li puniranno se oseranno raccontare la storia in modo così diretto e vero: se oseranno mostrare ebrei sanguinanti e distrutti per mano di coloro a cui viene attribuito il blasone di “combattenti della resistenza”.

Questo è il contrario del coraggio della cultura. Questa è pura viltà.

I sopravvissuti del 7 ottobre non hanno bisogno del Toronto International Film Festival per avvalorare la verità. Le famiglie delle vittime non hanno bisogno di un red carpet.

E’ il mondo che avrebbe bisogno di vedere cosa è successo: senza trucchi, senza ritocchi, senza offuscamenti dettati dalla sensibilità di chi vive a proprio agio nelle proprie certezze.

I terroristi di Hamas hanno filmato i loro crimini affinché il mondo li vedesse. Hanno continuato a diffondere orribili video di propaganda anche nei lunghi mesi successivi a quel giorno (fino agli agghiaccianti filmati degli ostaggi nei tunnel ndr).

Se il processo di Norimberga non aveva bisogno del permesso di Goebbels, il Toronto International Film Festival non ha bisogno del permesso di Hamas.

Ma la decisione del Toronto International Film Festival e di tanti come loro è quella di distogliere lo sguardo, e chiedere a tutti noi di fare lo stesso.

(Da: Times of Israel, 13.8.25)

La mezza marcia indietro. La sera di mercoledì 13 agosto, il CEO del Toronto International Film Festival, Cameron Bailey, ha rilasciato una dichiarazione, pubblicata su Instagram, in cui accenna delle scuse “per qualsiasi dolore questa situazione possa aver causato”, “riconosce le preoccupazioni che essa ha sollevato tra i membri della comunità ebraica e non solo” e si dice “impegnato a collaborare con il regista per soddisfare i requisiti di proiezione e consentire la proiezione del film al festival di quest’anno”, concludendo: “Ho chiesto al nostro team legale di collaborare con il regista per valutare tutte le opzioni disponibili”.
(Da: Jerusalem Post. 14.8.25)