Viaggio nell’odissea di una coppia alla ricerca di un figlio con la PMA e, poi, con una gravidanza a rischio. Tra burocrazia, costi e disinformazione

«Questa è la storia del mio assurdo viaggio per arrivare ad essere mamma, nonostante la gravidanza non sia una malattia (salvo complicazioni) e grazie a Dio sono nata a Milano, città che si fregia dell’eccellenza sanitaria. Area geografica famosa per gli efficaci processi produttivi e dunque fortunata, considerando le cronache disastrose raccontate dai TG nel resto d’Italia.

Lasciamo da parte il sarcasmo, ma concedetemi almeno la libertà di affermare che se ci si affida al “pubblico”, si fanno certamente i conti con la disinformazione e i processi a dir poco disorientanti. Soprattutto, preghiamo che i medici e gli operatori pubblici abbiano ancora la forza umana per sopperire ai “vuoti” che il sistema e le direzioni sanitarie hanno lasciato, senza un evidente (umano) senso logico.

Avevo 36 anni io e 52 mio marito quando iniziamo tutto. Oggi ne ho 39 e mio marito 54. L’entusiasmo e l’amore prevalgono sulle difficoltà di un percorso di PMA: procreazione medicalmente assistita. Vuol dire che se la natura non ti offre la possibilità di godere del sogno, ti affidi a ciò che la medicina moderna ti concede di fare, nella realtà. Per fortuna e con gratitudine. Durata: indefinibile.

Grazie quindi alla ricerca e soprattutto alla promessa di Ippocrate che i medici fanno, ho la certezza che verrà “perseguita la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo… fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione”. Più che una promessa, un atto di coraggio da parte di professionisti votati alla loro “missione”, messi seriamente alla prova da un “sistema” che non sa minimamente cosa voglia dire una “esperienza utente”.

La realtà dei fatti:

Insomma:
perché dobbiamo vivere questo calvario ogni volta che si ha a che fare con il pubblico, pur pagando le tasse, quelle trattenute alla fonte?

Nonostante creda fermamente nel sistema e nel rispetto delle regole, se non fosse stato per “i singoli” (bontà loro) e senza la fortuna di “conoscere qualcuno”, sarebbe stato tutto un vero incubo.

Perché in Italia, parlando anche solo di sanità, vengono dispersi milioni di euro per risolvere cose mai realmente risolte, nonostante la lezione della pandemia?

Perché dovremmo fare più figli, se contrariamente alle propagande politiche, nella realtà dei fatti si “appesantiscono” le procedure e si aumentano i costi di beni e servizi, quelli proprio di prima necessità?

Definire e uniformare il processo, aiuterebbe utenti e operatori non solo a rendere le cose più “leggere” per tutti (dato che è sempre lo stesso processo) ma quanto meno a risparmiare tempo e risorse (pubbliche). E la digitalizzazione è ancora molto lontana dal considerarsi funzionale e “user friendly”.

Benché venga dichiarata massima attenzione ai cittadini, si curano sempre e solo gli effetti, mai le cause. Si rimane fermi ai soliti disservizi, intrappolati nella mancanza di processi uniformati, chiari e definiti, nel “non dipende da me” e nella mancanza di rispetto dell’esperienza utente: il cittadino. Quello che paga per questo motivo.

Interessi di bilancio, in perpetuo contrasto tra chi non ha la formazione per potersene occupare e la vera volontà di cambiarla, tanto meno la capacità di poterla correttamente assegnare a chi invece saprebbe migliorarla.

I medici fanno le loro promesse a Ippocrate e allo stesso modo anche i dirigenti politici fanno la loro: “giuro… di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Interesse, appunto. Forse le cose andrebbero meglio se a pagare gli errori fossero proprio “loro”? Chissà.

Quindi, tra le mille promesse, le mie premesse, diritti e i doveri da definire, qualcuno mi sa dire perché chi vuole avere un figlio debba accettare tutto questo, in ubbidiente silenzio? Per non parlare poi del processo visite post parto. Vabbè.

Una mamma e un papà (finalmente e stancamente) molto felici». 

24 luglio 2025