Ci troviamo negli anni Sessanta, quando l’Italia macina sviluppo e speranza. Fiat domina le città con la sua 500: semplice, economica, eppure capace di rappresentare un’Italia di frenesia e libertà. In quel contesto, tra famiglie che cercano spensieratezza e giovani alla ricerca d’indipendenza, nasce una versione diversa della piccola Cinquecento. È la Abarth, un modello che trasforma un’utilitaria in una micidiale sportiva urbana e cambia per sempre il concetto di auto da città.
La nascita di Abarth
Abarth nasce in pista, fra motori, record e passione. Carlo Abarth, nella Torino del secondo dopoguerra, è già noto per le sue elaborazioni che battono record su record. Dopo aver già messo le mani in pasta con la Fiat 600 per trasformarla nella 850 TC, bastano poche modifiche a una Fiat 500 – carburatori più vivaci, rapporti di compressione rialzati, scarico più libero – per infrangere la barriera psicologica dei 100 km/h già nel 1957. Tutto inizia a Monza con 22 CV, e pochi anni dopo la potenza riesce a salire fino a 26 CV, consolidando la reputazione di quello che sta per diventare lo Scorpione.
Dal basso profilo delle officine di Corso Marche emerge un uomo capace di trasformare una citycar in una vera sportiva. L’intuizione cattura anche l’attenzione di Fiat, che concede a queste 500 elaborate uno spazio nei suoi concessionari. Abarth prende al volo l’opportunità e la trasforma in un marchio: un unicum italiano dove corsa e strada si fondono come in nessun altro luogo al mondo.
Arriva la 595
Settembre 1963. Carlo Abarth presenta al mondo la sua nuova creatura: la Fiat-Abarth 595, e non lo fa in modo convenzionale. Al Salone di Torino, il 31 ottobre, tra stand affollati e l’odore di vernice fresca, decide di offrire ai visitatori qualcosa di più di una brochure: un giro di prova reale. Due vetture pronte, tre collaudatori ufficiali, e un percorso collinare fatto di saliscendi veloci. Gli appassionati affrontano file lunghissime pur di assaporare quei pochi minuti di adrenalina. Un successo immediato, tanto che Abarth annuncia quasi subito la produzione delle prime 1.000 unità.
La base di partenza è la Fiat 500 D, l’utilitaria che dal 1961 conquista l’Italia con la sua semplicità. Ma la 595 non è una semplice 500 potenziata, è un manifesto tecnico completato da arroganza stilistica. Davanti, la griglia traforata che richiama la 850 TC è il primo segnale che qualcosa è cambiato. Su tutta la carrozzeria si ripetono stampe da corsa, con loghi in piena mostra dello scorpione: un avvertimento estetico per chiunque incroci la sua strada.
La vocazione corsaiola si percepisce anche nei dettagli meccanici a vista: sotto il fascione posteriore sporge la coppa dell’olio maggiorata in alluminio, mentre la marmitta sportiva tipo Record Monza, con doppia uscita cromata, promette un sound inconfondibile. Sotto la carrozzeria, le modifiche sono ancora più decisive. Il piccolo bicilindrico, portato a 593,7 cm³, riceve cilindri in ghisa speciale fusi in corpo unico, pistoni con cielo rialzato per aumentare il rapporto di compressione, un albero a camme più spinto e un carburatore verticale Solex.
Il risultato è una potenza aumentata del 30% rispetto alla 500 di serie: 27 CV a 5.000 giri, 120 km/h di velocità massima e un carattere che conquista immediatamente il cuore dei giovani. Il prezzo base di 595.000 lire è superiore a quello di una 500 standard, ma il pubblico risponde con entusiasmo. La produzione parte con 70 unità al mese e in breve triplica a 250 per soddisfare la domanda.
Le caratteristiche tecniche della 595:
- Cilindrata: da 500 passa a 595 cm³ (grazie all’alesaggio maggiorato da 67,4 a 73,55 mm);
- Motore: Variazioni all’interno: albero a camme modificato, pistoni con cielo rialzato, carburatore Solex, coppa dell’olio maggiorata;
- Potenza: cresce del 30%, raggiungendo 27 CV a 5.000 rpm;
- Velocità max: 120 km/h, un valore notevole per un’utilitaria dell’epoca;
- Prezzo: 595.000 lire, circa il 30% in più della Fiat 500 di serie.
La successiva 695 e le varianti SS
Nel 1964 arriva la prima evoluzione: la 595 SS (“esseesse”), più potente (32 CV, 130 km/h) e ancora più corsaiola. Ferma cofano in gomma marchiati Abarth, stemma dello scorpione smaltato al posto della maniglia, sigle SS ben in vista su cofano anteriore e posteriore. Per la prima volta compaiono accessori a richiesta: cerchi in lega, volante sportivo a tre razze, tetto aerodinamico in plastica. La 595 non è più solo una citycar trasformata, ma un simbolo di stile sportivo fatto per restare.
Nasce poi la 695, spinta a 689 cm³ grazie a una corsa maggiore e a una testata rivista, con potenza nell’ordine dei 38 CV. Un’auto ancora più vivace, capace di toccare i 140 km/h, velocità considerevole per un’auto che, alla nascita, era stata concepita per muoversi agilmente in città a poco più di 90 km/h. Il capitolo si chiude con la 695 SS, l’evoluzione più estrema: qui la potenza sfiora i 40 CV, con rapporti del cambio più corti e un assetto ulteriormente irrigidito per sfruttare ogni cavallo disponibile. Esteticamente, prende il meglio delle versioni precedenti: parafanghi allargati, cerchi più larghi e dettagli racing che la rendono immediatamente riconoscibile. La sintesi perfetta della scelta commerciale di Abarth: prestazioni pure, peso piuma e una personalità inconfondibile.
Queste versioni non solo consolidano la fama del marchio, ma fanno della piccola Fiat 500 elaborata un’icona mondiale, capace di competere e vincere in contesti dove, sulla carta, sembra impossibile. Ancora oggi, una 695 SS in condizioni originali è considerata un pezzo da collezione di altissimo valore, simbolo di un’epoca irripetibile dell’automobilismo sportivo italiano.
Un punto fermo per l’Italia
La storia di Abarth 595 e 695 è un racconto di passione trasformata in piccoli bolidi. Partendo da una piccola utilitaria, Carlo Abarth riesce a trasferire una mentalità corsaiola in un’auto da strada che, pur compatta, ispira grandi emozioni. I kit di trasformazione permettono persino di convertire una 500 standard nella versione Abarth solo con pochi interventi mirati, per strizzare l’occhio ai più smaliziati, in un periodo in cui l’elettronica non esisteva e sporcarsi le mani sulla propria auto era una passione di molti.
Una storia che prosegue fino al 1971, quando la Fiat acquisisce Abarth definitivamente e ferma la produzione delle versioni originali. Ma l’anima di queste rivisitazioni non muore mai: nei decenni a venire, i nomi 595 e 695 tornano per identificare versioni moderne di sportività urbana, oggi nella nuova gamma Abarth, con potenze che arrivano a 165 CV e 180 CV, rinnovando il mito dell’auto piccola ma cattiva, ora guidata dall’elettrico.