voto
6.5

  • Band:
    CHEVELLE
  • Durata: 00:39:27
  • Disponibile dal: 15/08/2025
  • Etichetta:
  • Rise Records

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Nonostante una discografia oscillante tra il buono l’ottimo – citiamo in quest’ultima categoria il capolavoro “Wonder What’s Next” e il penultimo “NIRATIAS” – il nome dei Chevelle è sempre rimasto ai margini della ‘Diamond Nu Metal League’, forse anche per il loro costante equilibrio tra il contorsionismo sonoro dei Tool e l’accessibilità dell’alternative metal più radiofonico. Sia come sia, dopo una pausa di quattro anni, e giusto in tempo per il trentesimo anniversario della band, i fratelli Loeffler tornano  con “Bright As Blasphemy”, primo lavoro fuori dal circuito major descritto come un ritorno ad un approccio più indipendente, vista anche l’assenza di produttori esterni dopo un decennio di collaborazione con Joe Barresi.

Al di là delle lodevoli intenzioni, duole riconoscere come il decimo album della formazione di Chicago sia da annoverare tra i più deboli del loro catalogo, pur superando ampiamente la sufficienza.
L’opener “Pale Horse” rappresenta un buon ‘more of the same’ ma, al di là dell’ipnotica voce di Pete Loeffler (tra i pochi a poter tenere testa ad un certo Maynard Keenan) stenta a decollare per l’assenza di un ritornello memorabile quali quelli cui ci avevano abituato in passato. Molto meglio, da questo punto di vista, “Rabbit Hole (Cowards Pt.1)” e “Jim Jones (Cowards Pt.2)”, primi due singoli impreziositi anche da effetti chitarristici ad opera dello stesso frontman.
L’elemento di novità, se così lo si può definire, è rappresentato dai passaggi più intimi come la cantilenante “Hallucinations” (con tanto di finto fruscio da vinile) o l’acustica “Blood In The Fields”, due brani che tuttavia faticano a decollare e finiscono anzi col risultare un po’ monotoni.
Più interessante l’attualizzazione dei testi, con l’intelligenza artificiale (“AI Phobias”, con dei pattern ritmici al momento fuori portata anche per ChatGPT-5) a prendere il posto delle consuete tematiche sci-fi cui eravamo abituati, a riprova di come la realtà stia ormai per superare la fantasia.
Il resto, dal basso martellante di “Wolves (Love And Light)” ai riffoni groovy di “Karma Goddess”, si muove su coordinate note ma non per questo meno gradite, toccando l’apice con il climax della conclusiva “Schocked At The End Of The World”, la migliore del disco insieme ai due singoli in apertura.

Rispetto al precedente “NIRATIAS” un netto passo indietro, ma nemmeno con il motore al minimo i fratelli Loeffler riescono a partorire un brutto disco.