In sanità il PD vorrebbe marginalizzare il privato accreditato, nella convinzione che penalizzi il pubblico e selezioni all’accesso

Uno dei punti sicuramente originali della bozza sulla sanità presentata dal Pd, almeno rispetto ai contributi ed alle prospettive di altri documenti di soggetti o partiti, è la prospettiva di una ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato, argomento molto complesso e che suscita immediati contrasti non solo appena si accenna all’intenzione di discuterne, ma anche quando se ne parla con calma e senza astio.

Con il termine “privato” ci si intende riferire, nel seguito, non tanto a coloro che con rischio personale decidono di iniziare delle attività sanitarie al di fuori del Servizio sanitario nazionale (SSN) facendosi pagare dai cittadini che utilizzano detti servizi, bensì alle attività sanitarie e socio-sanitarie erogate da soggetti privati (for profit o non profit) per conto del SSN, con soldi quindi del Fondo sanitario nazionale.

Si parla, in questo caso, di strutture “accreditate”, cioè di strutture che, a valle di un percorso di accreditamento gestito e valutato dalle strutture pubbliche competenti (ASL, Regioni), ottengono il diritto ad erogare prestazioni per conto del SSN, cioè con le stesse regole (tariffe, ticket, esenzioni, liste di attesa, …) che hanno le strutture pubbliche.

La bozza del Pd, ma lo dico solo per introdurre il problema, vede la necessità di ridiscutere l’attuale rapporto pubblico-privato attorno a due capisaldi: da una parte l’affermazione che la priorità va data al funzionamento delle strutture pubbliche, dall’altra la prospettiva che sia la programmazione pubblica a definire quali sono le attività da affidare ai soggetti privati accreditati, programmazione che deve agire a valle di un’analisi dei bisogni di cura della popolazione.

Parafrasando slogan molto usati in questo periodo, si potrebbe dire “pubblico first”, e se poi avanza qualcosa perché il pubblico da solo non basta ecco che si può far intervenire il privato accreditato.

Diciamo che nell’area politica che il Pd (non da solo) intende rappresentare (chiamiamolo per semplicità “campo largo”) a proposito del rapporto pubblico-privato in sanità ci sono posizioni anche più estreme di quella appena accennata, come quella per i quali il privato accreditato non deve trovare rappresentanza nel SSN perché esso deve essere solo pubblico; ma a chi scrive pare che siano posizioni del tutto minoritarie, mentre è assolutamente prevalente l’idea del “pubblico first”, con la conseguente marginalizzazione del privato accreditato, che viene accettato ma confinato in un angolo.

Schlein alla CameraElly Schlein, segretaria del Pd, alla Camera (ANSA 2025, Maurizio Brambatti)

Al di là dell’osservazione che ad oggi le strutture del privato accreditato sono distribuite nelle regioni in maniera molto eterogenea sia per le attività ospedaliere, sia per quelle ambulatoriali, sia per quelle socio-sanitarie, i sostenitori del “pubblico first” lamentano innanzitutto che le attività del privato accreditato sono in forte crescita.

L’osservazione è vera, anche se le informazioni che servirebbero per dirlo non sono del tutto disponibili e non si riesce quindi a farne una stima precisa. Ma quali sono le ragioni?

Sostanzialmente una: la libertà che ha il cittadino di ottenere prestazioni sotto l’ombrello del SSN in qualsiasi struttura pubblica o privata accreditata del nostro Paese, libertà di scelta che in questi anni gli italiani hanno esercitato aumentando la richiesta di attività nelle strutture accreditate.

Certo, si tratta di una libertà non totalmente libera, perché condizionata da tanti fattori (la rete di offerta, la pubblicità, il passaparola, le indicazioni del proprio medico curante, la attrattività della struttura, le proprie conoscenze, etc.) che nel loro insieme hanno spostato (e stanno spostando) le scelte dei pazienti aumentando le attività del privato accreditato.

In assenza di controindicazioni (di varia natura) e non facendosi disturbare dall’ideologia, non vedo negatività in questo percorso: si può dire “contento il paziente, contenti tutti”, anche se lo slogan non deve essere visto in ottica esclusivamente individuale.

Ma è proprio qui che il Pd mette la prima zeppa: secondo la sua bozza, nelle prestazioni del privato accreditato ci sono controindicazioni che sono assenti nel pubblico, e la prima di esse è la capacità che il privato ha di selezionare la casistica che accede alle proprie strutture, possibilità che al pubblico non è permessa.

Il fenomeno della selezione agisce tramite due leve: da una parte nella fase di accreditamento, cioè nel momento in cui una struttura chiede di poter esercitare una determinata attività e decide (questa l’accusa) di accreditarsi solo per prestazioni ritenute più remunerative (esempio: chirurgia, ortopedia); dall’altra, una volta accreditata, operando una selezione dei singoli pazienti in base alla gravità della situazione di ognuno e scegliendo quelli meno impegnativi.

Senza entrare nel merito delle tantissime modalità con cui si può arrivare ad esercitare le due selezioni descritte, le contromisure in proposito sono assolutamente disponibili ed anche tecnicamente facili da mettere in opera: quanto all’accreditamento, esso è tutto in mano al giudizio ed alla valutazione dell’ente pubblico competente (ASL, Regione), che può decidere come meglio ritiene, con l’ovvia conseguenza, però, che se ad una struttura vengono accreditate le attività di ortopedia poi non la si può accusare di fare attività remunerative; quanto alla scelta dei singoli pazienti, è facile effettuare analisi statistiche “post hoc” o altre attività di controllo e verificare se una struttura mette in atto meccanismi finalizzati alla selezione di determinati pazienti.

In altre parole: se è condivisibile la preoccupazione affinché non si mettano in opera strategie o percorsi di selezione della casistica, si deve anche ammettere che le contromisure sono disponibili e non sono tecnicamente complicate.

Per quanto riguarda la seconda prospettiva (seconda zeppa) che la bozza del Pd indica, e cioè che sia la programmazione pubblica a definire cosa deve fare il privato accreditato, a valle di una analisi dei bisogni, questo è proprio quello che mi aspetto che faccia già adesso l’ente pubblico competente nel momento in cui accredita una struttura.

Vedo invece più complicato da implementare questo percorso se deve essere applicato alla programmazione delle attività annuali (o periodiche), perché si scontra proprio con il tema della libera scelta del cittadino e quindi l’attività programmatoria deve essere condotta da una parte ammettendo alcuni gradi di libertà nei volumi delle attività, e dall’altra prevedendo misure di accompagnamento che garantiscano, ad esempio, lo svolgimento delle attività lungo tutto il corso dell’anno. Anche in questo caso esistono molte soluzioni possibili.

L’argomento pubblico-privato non si esaurisce qui, anche alla luce, ad esempio, delle recenti problematiche sorte in Emilia-Romagna dalla decisione della Regione di rivedere la remunerazione, già concordata in precedenza, delle attività erogate dalle strutture accreditate per affrontare la pandemia da Sars-CoV-2: in compenso si è esaurito lo spazio disponibile e quindi toccherà riprendere il tema prossimamente.

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