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La Seconda guerra mondiale, di fatto, terminò il 15 agosto del 1945, e cioè qualche settimana prima della sua conclusione formale (il 2 settembre). A mezzogiorno di quel giorno, infatti, in Giappone venne diffuso alla radio il discorso di circa quattro minuti in cui l’imperatore Hirohito annunciava la resa incondizionata del suo paese agli Alleati.

In Europa la guerra era finita a maggio, con la resa della Germania nazista. L’Impero giapponese era militarmente sconfitto da tempo ma fino ad allora si era rifiutato di arrendersi: cambiò idea dopo una lunga campagna di embargo economico e devastanti bombardamenti statunitensi, che culminò con lo sgancio di due bombe atomiche nel giro di tre giorni, su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto di ottant’anni fa. Nel frattempo l’Unione Sovietica aveva invaso le colonie giapponesi, fermandosi all’altezza di quello che oggi è il confine tra Corea del Sud e del Nord.

Il 15 agosto del 1945 fu la prima volta che l’imperatore, considerato una figura semidivina, si rivolgeva direttamente alla popolazione. Hirohito, tra l’altro, parlò nel giapponese classico e desueto dei proclami imperiali, col risultato che sul momento la maggior parte dei giapponesi non capì esattamente cosa stava annunciando, e fu necessario chiarirlo.

Il presidente statunitense Harry S. Truman mostra la resa incondizionata firmata dal Giappone il 2 settembre, alcuni giorni dopo alla Casa Bianca

Il presidente statunitense Harry S. Truman mostra la resa incondizionata firmata dal Giappone il 2 settembre, alcuni giorni dopo alla Casa Bianca (Fox Photos/Getty Images)

Il discorso è noto come gyokuon-hōsō, la “Trasmissione della voce dell’imperatore” (dove “imperatore” è espresso con il termine onorifico di “Gioiello”), e fu piuttosto criptico, oltreché dal lessico arcaico. Hirohito non usò parole come “resa” o “sconfitta”, ma disse che «la guerra non si è evoluta necessariamente a favore del Giappone», parlò di una «misura straordinaria» e della necessità di «sopportare l’insopportabile e tollerare l’intollerabile» (un’espressione diventata idiomatica da lì in poi).

Il discorso di Hirohito, tradotto in inglese (l’audio è originale)

Il discorso era stato registrato nella notte del 14 agosto. Hirohito si era presentato negli studi della radio NHK con l’alta uniforme militare e, secondo lo storico statunitense John Toland, venne usato lo stesso microfono con cui nel 1941 era stata data la notizia dell’attacco giapponese sulla base navale di Pearl Harbor, alle Hawaii, che aveva portato all’ingresso in guerra degli Stati Uniti.

Fu necessario ripetere la registrazione perché la prima volta l’imperatore aveva fatto alcuni errori. Inoltre, nonostante Hirohito avesse chiesto ai tecnici con quale tono di voce dovesse parlare, lo fece con voce piuttosto bassa: cosa che contribuì alla scarsa qualità dell’audio e non aiutò la comprensibilità.

Prigionieri di guerra giapponesi detenuti a Guam chinano la testa mentre ascoltano il discorso dell'imperatore, il 15 agosto del 1945

Prigionieri di guerra giapponesi detenuti a Guam chinano la testa mentre ascoltano il discorso dell’imperatore, il 15 agosto del 1945 (CORBIS/Corbis via Getty Images)

Nel tentativo di impadronirsi dei nastri del discorso, per impedire che fosse trasmesso e che quindi ci fosse la resa, quella notte alcuni ufficiali dell’esercito tentarono un colpo di stato. Il tenente Kenji Hatanaka occupò il palazzo imperiale e drappelli a lui fedeli andarono nelle principali stazioni radio. La rivolta fallì: Hatanaka guidava un gruppo sparuto di soldati, che fu neutralizzato velocemente, e soprattutto non aveva appoggi tra le alte gerarchie militari.

Le idee di Hatanaka, però, erano diffuse negli ambienti militari giapponesi, imbevuti dell’ideologia che sotto i regimi militari degli anni Venti aveva estremizzato gli ideali cavallereschi del “bushido”, l’antico codice dei samurai. In questo contesto erano stati teorizzati suicidi di massa per evitare una resa percepita come un’umiliazione. Il discorso di Hirohito, con l’ordine di deporre le armi, contribuì a sventare questi piani. Alcuni ufficiali giapponesi però si suicidarono ugualmente tra il 15 e il 16 agosto.

Il ministro degli Esteri giapponese, Mamoru Shigemitsu, firma la resa incondizionata a bordo della nave USS Missouri, nel porto di Tokyo, il 2 settembre del 1945

Il ministro degli Esteri giapponese, Mamoru Shigemitsu, firma la resa incondizionata a bordo della nave USS Missouri, nel porto di Tokyo, il 2 settembre del 1945 (AP Photo)

Negli Stati Uniti, la resa del Giappone fu annunciata dal presidente Harry S. Truman quand’era ancora il 14 agosto, per via del fuso orario. Venne festeggiata come la fine della guerra e i giornali titolarono sulla pace. «Il Giappone si arrende, fine della guerra», si leggeva per esempio sulla prima pagina del New York Times. Come detto, la resa formale fu firmata il 2 settembre a bordo della corazzata statunitense USS Missouri, ormeggiata nella baia di Tokyo.

La notizia della resa arrivò con grande ritardo ai soldati dell’esercito imperiale dispiegati nelle isole più lontane dalla madrepatria. Per esempio la maggior parte di quelli nascosti nelle Filippine si arrese solo nella primavera del 1946. Diversi soldati, proprio per via dell’addestramento e delle convinzioni che erano stati loro impartiti, non credettero alla resa e si rifiutarono di arrendersi. Il loro rimpatrio fu ufficialmente concluso nel 1951 ma fino agli anni Settanta si scoprirono reduci che continuavano a combattere: l’ultimo di loro, Hiroo Onoda, si arrese nel 1974.

– Leggi anche: A Hiroshima è sempre il 6 agosto del 1945