Da archistar degna di onori e celebrazioni a lupo cattivo accusato delle peggiori nefandezze. Per parole scritte in chat, e poco altro. La parabola di Stefano Boeri – architetto di fama internazionale, progettista, tra le tante cose del Bosco verticale di Milano nonché direttore della Triennale del capoluogo lombardo – è questa. Almeno per il momento. Dalla gloria al fuoco di fila di procura e opinione pubblica. La prima qualche mese fa voleva addirittura arrestarlo, perché lo accusava di turbativa d’asta. Non fu arrestato, Boeri, perché il giudice per l’indagine preliminare, dopo l’interrogatorio, pensò che non ce n’era bisogno. Nell’ultimo filone dell’inchiesta milanese sull’urbanistica – quella in cui è indagato anche il sindaco Beppe Sala – non se ne chiede l’arresto, ma lo si considera il protagonista di un sistema di corruzione e falsi per la rigenerazione urbana di Milano.
Atto d’accusa: tutta Milano fuorilegge
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Siamo ancora nella fase delle indagini e non sappiamo il processo come andrà. A suo carico, però, per il momento ci sono solo parole. Magari anche sgradevoli, come quando dice a Sala, parlando delle trattative sul Pirellino, di prendere il suo messaggio come “un warning”, un avvertimento, o quando insiste per edificare un’area sulla quale, a detta del sindaco, forse non aveva senso aggiungere cemento. Ma pur sempre di parole si tratta. Parole, ovviamente, interessate, pronunciate da un professionista che vuole portare a compimento le sue opere. Coltivando (anche) relazioni personali consolidate in decenni di lavoro.
Se tutto questo è reato lo diranno i giudici. La prudenza, però, suggerirebbe di andare piano con la character assassination di queste ore. Perché non fa bene a nessuno. Non al diretto interessato, non a Milano, non agli altri indagati e neanche alla credibilità dell’inchiesta.
La scalata di Milano. La destra ci pensa, la sinistra non ci vuole pensare
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