Compie 50 anni un capolavoro del cinema italiano, Amici Miei, che nell’estate del 1975 arrivava nelle arene proprio per Ferragosto in anteprima, in attesa di uscire ufficialmente nelle sale nell’ottobre dello stesso anno.

Dissacrante e feroce toscanità, misto di sarcasmo, ironia e cinismo, un film diventato un “Cult” come si dice oggi, il regista Mario Monicelli, ereditò il progetto dall’amico Germi ormai molto malato, e poi gli sceneggiatori Leo Benvenuti (fiorentino) e Piero De Bernardi (pratese), firme del film insieme allo stesso Germi e a Tullio Pinelli. Fu proprio Germi a chiedere a Monicelli di “completare il lavoro”, salutando la compagnia con la frase (leggenda o verità? Non lo sapremo mai) “Amici miei, ci vedremo, io me ne vado” che poi suggerì il titolo.

Esiste a Firenze l’Associazione Cult(urale) Conte Mascetti che ormai dieci anni porta i fan in gita sui luoghi simbolo del film, tour guidati sulle tappe della pellicola, dalla tomba di Adelina “sposa e amante impareggiabile”, al Bar Necchi fino al binario 16, quello degli schiaffi alla stazione, fino al funerale del Perozzi in piazza Santo Spirito. 

Insomma, il capolavoro di Mario Monicelli resta oggi un racconto tanto giovane e perenne che oltre ad essere entrato nel vocabolario per le sue battute memorabili ha anche segnato il costume di una generazione come era accaduto a “La dolce vita” 15 anni prima.

L’anteprima festivaliera di “Amici miei” ebbe luogo nel mese di luglio 1975 al Teatro Greco di Taormina e successivamente la commissione di censura impose un divieto ai minori di 14 anni che, paradossalmente, attirò l’attenzione di un pubblico più vasto e curioso. Infatti, uscito come “un’altra delle commedie all’italiana”, il film non ebbe subito un grande consenso di critica; solo il crescente favore del pubblico lo impose all’attenzione, fino a trasformarlo nel re degli incassi, in grado di guardare dall’alto in basso anche Steven Spielberg che aveva nelle sale “Lo squalo”.

Monicelli modifica la pellicola a modo suo con una ambientazione toscana con i suoi mitici personaggi: il Conte Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi), il giornalista Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), il Prof. Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi), l’architetto Rambaldo Melandri (Gastone Moschin) e il barista Guido Necchi (Duilio Del Prete). Amici di scuola, di caserma, e dunque amici da tutta la vita, che hanno portato fino a noi il mito delle zingarate.

 Tra le curiosità del set ci sono il rifiuto di Mastroianni che doveva impersonare il Mascetti, ma rinunciò per timore di sfigurare nell’affiatato gruppo e quello di Raimondo Vianello che – si dice – passò la mano perché le riprese coincidevano coi mondiali di calcio di cui non voleva perdere neppure una partita. Da notare poi che Philippe Noiret, chiamato in servizio all’ultimo anche per ragioni di coproduzione, venne doppiato da Renzo Montagnani che, sette anni dopo, avrebbe preso il posto di Del Prete nel seguito delle ormai popolarissime zingarate per un “Amici miei – Atto II” ancora diretto da Monicelli, mentre per un terzo e ultimo episodio si passò alla regia di Nanni Loy.

Insomma, tra “supercazzole” e “bischerate”, c’è tutta l’anima malinconica di Germi, ma anche il cinismo, solo apparente, del suo degno continuatore, Mario Monicelli che oggi possiamo riconoscere tra gli artisti più grandi del nostro cinema. “La vera felicità – diceva il regista – è la pace con se stessi. E, per averla, non bisogna tradire la propria natura”. Questa è la natura dei personaggi di “Amici miei” e per questo restano campioni assoluti di un’umanità che non smette di essere attuale.