Negli anni ’50 e ’60 mia nonna era la postina di Madonna dell’Olmo. Ormai pochi la ricordano.
L’ufficio postale stava tutto in una stanza adiacente alla cucina, un locale che aveva un’apertura a saracinesca sulla strada principale, scaffali, mensole e il calendario delle Poste alla parete. La casa si trovava nell’attuale via Crissolo, più o meno dove oggi ci sono i campi delle bocce, dietro le scuole.
Al posto di quelle c’erano l’orto, un prato, il pollaio, le gabbie dei conigli.
Niente sala d’aspetto con numerini da prendere. Se avevi bisogno di una cartolina, a qualsiasi ora, suonavi, nonna Angela tirava su la saracinesca e te la vendeva. Se ricevevi un telegramma, appena le era possibile te lo portava: la gente, appena attraversata la guerra, aveva pazienza, sapeva aspettare.
Mia nonna era vedova da alcuni anni, aveva tre figlie, due già sposate (una era mia madre), una adolescente o poco più (la zia Maria Teresa), e si portava appresso un passato avventuroso, che quando lo racconto mi sgridano dicendomi: “Tu che scrivi … perché non ne fai un romanzo? La trama è fatta!”
Ma non è questo il momento. Dalla fine del 1952, divenuta ufficialmente postina, Angela Bruna svolgeva l’incarico con solerzia. Alle sei della mattina la corriera per Busca scaricava il sacco con la corrispondenza, e lei lo trascinava fino a casa, svuotava il contenuto su un gran tavolone, e divideva lettere e pacchi per zone. Dopo aver fatto colazione partiva in bicicletta, una meravigliosa Aurelia color carta da zucchero, con due portapacchi, uno davanti e uno dietro, e cominciava il giro.
Aveva le gambe forti, la postina Angela, abituate a difendersi dai cani, a pedalare veloce.
Se la zia Maria Teresa era in casa, svolgeva lei le incombenze dell’ufficio (telegrammi, vaglia postali, raccomandate, vendita cartoline e francobolli). Se non c’era, la saracinesca restava abbassata fino al suo ritorno. A metà mattinata, Angela prendeva un caffè, ricaricava le borse e partiva nuovamente per completare le consegne.
Nel primo pomeriggio arrivava, sempre con la corriera, il secondo giro di corrispondenza, generalmente meno corposo, a meno che fosse giorno di consegna dei settimanali come “La Guida” o “La Domenica del Corriere”, che avevano numerosi abbonati anche a Madonna dell’Olmo, anche nelle cascine dei contadini.
In quel caso, il pomeriggio si faceva lungo, verso sera la dinamo rallentava la ruota anteriore, ma faceva luce abbastanza per trovare la strada giusta.
Ci furono delle estati in cui mia sorella e nostra cugina Maria Grazia venivano mandate “in festa” (…si diceva così …) per un bel mesetto dalla loro nonna postina. E lei le sfruttava opportunamente.
Racconta mia sorella Anna Maria:
“Quando avevamo 8-10 anni la nonna ci lasciava in custodia l’Ufficio Postale e noi eravamo eccitatissime e ci sentivamo ‘già grandi’. Non avevamo grandi compiti. Dovevamo vendere i francobolli e le cartoline, per tutte le altre necessità dicevamo ai clienti di ripassare. Però per noi gestire la ‘cassa’ con tutte le monete e le banconote in bell’ordine era un modo per sentirci responsabili e lo facevamo con grande attenzione. Ci svegliavamo prestissimo per aiutare la nonna a smistare la posta sul grande tavolone, e leggendo gli indirizzi avevamo imparato a dividerla come voleva lei, in modo che potesse ottimizzare i passaggi. Certo è impensabile immaginarlo adesso, sembra di parlare di un’altra era”.
Madonna dell’Olmo non aveva gli abitanti odierni, forse sono più che quadruplicati, il traffico non era il medesimo. Però a volte percorrendo quelle strade mi viene da immaginare la nonna Angela e la sua bellissima Aurelia color carta da zucchero. La vedo pedalare rapida, svoltare per via Roncata o via Chiri, entrare in un cortile, cavare la lettera giusta, infilarla nella buca. Magari due chiacchiere con un’amica, non troppe, non aveva tempo da perdere la nonna e nemmeno un carattere incline alla conversazione.
Conferma Anna Maria:
“No, la nonna non si fermava mai, aveva troppe cose da fare. E nonostante fosse da sola, riusciva a tenere in ordine e pulitissima la casa, a curare l’orto e tenere i conigli. Siccome non avevamo il telefono, né noi, né lei, per combinare un pranzo domenicale o altri appuntamenti ci si scriveva, e se mandavi una lettera il lunedì, il mercoledì avevi già la risposta e il venerdì una conferma. Insomma, le Poste funzionavano. Meno veloci di Whatsapp, ma vuoi mettere l’attesa della cartolina delle vacanze o la lettera del fidanzato militare?”
Angela la postina pedalava nella neve in inverno, nel sole cocente d’agosto, nella pioggia di novembre.
Ha rappresentato per tanti anni un presidio di comunicazione che oggi non esiste più, una funzione sociale, una figura famigliare e al contempo ufficiale.
Vien facile immaginare un Ferragosto qualsiasi di 60 anni fa, nella piccola frazione cuneese.
Due bimbe chiacchierano allegre nell’ufficio postale di Madonna dell’Olmo, aspettando che suoni il campanello. La nonna è già partita da un po’. E finalmente arriva qualcuno. La saracinesca sale.
-Buongiorno bambine. Vorrei un francobollo da 5 lire.
Due sorrisi. Una bimba lo strappa accuratamente lungo il ritaglio, l’altra prende i soldi, cerca il resto.
-Eccolo. Buongiorno.
I sorrisi diventano tre.
Negli uffici postali oggi, le bambine non ci sono più, i sorrisi scarseggiano.