Gli accertamenti

Secondo la difesa della famiglia, patrocinata dall’avvocato Alessandra Gracis, la fatale serie di errori clinico-diagnostici da parte del medico dello sport e del cardiologo che seguivano Pinarello a Treviso, sarebbe discesa dall’ablazione eseguita durante il ricovero a Milano dal 7 al 10 marzo 2011. L’intervento coinvolse solo il ventricolo destro, senza considerare le criticità di quello sinistro. Rispondendo ai quattro quesiti formulati dalla Corte, i consulenti Marozzi e Finzi hanno affermato che secondo le linee guida del 2009, «era tassativo – trascorso un mese dall’ablazione – sottoporre il paziente ad un Holter e ad un ecocardiogramma prima di concedere l’idoneità a riprendere l’attività», il che invece non avvenne anche se «risultava ben visibile e di estensione non trascurabile» l’area cicatriziale sul ventricolo sinistro.

Per gli esperti, «risulta quindi non condivisibile la concessione dell’idoneità agonistica precocemente», tanto più perché riguardava uno sport come il ciclismo «che comporta importanti aumenti di pressione arteriosa, frequenza cardiaca e resistenze arteriose periferiche, oltre al rischio di squilibri idroelettrolitici e metabolici secondari alla durata dello sforzo ed alle condizioni ambientali». Di conseguenza «sarebbe stato doveroso innanzitutto mantenere la sospensione dell’idoneità agonistica amatoriale ed affidare il paziente ad un Centro di riferimento nel campo delle cardiomiopatie, perché di questo si trattava: un’alterazione morfologica localizzata ma non trascurabile nel ventricolo sinistro di natura non identificata, non ischemica e con ogni probabilità diversa da quella “di comodo” post-miocarditica». L’accertamento «che con maggior probabilità avrebbe potuto dirimere i dubbi» era una biopsia miocardica dell’area alterata, «considerando anche l’insistenza del paziente per poter ottenere la sospirata idoneità».