Nel 1951, ad un tavolo di una trattoria della Costa Azzurra, Le Corbusier disegnava per sua moglie Yvonne un rifugio minuscolo e assoluto: Le Cabanon. Tre metri per tre, legno, vista mare. Dentro: letto, lavandino, tavolo. Tutto secondo le proporzioni del Modulor, il suo sistema di misura ispirato al corpo umano. Un gesto d’amore trasformato in architettura. Ma anche suo testamento dell’essenziale: “Mi trovo così bene nel mio cabanon che sicuramente terminerò la mia vita qui”. E così accadde. Le Cabanon, archetipo moderno della capanna primitiva, è il punto di partenza della narrazione intima e potentemente visiva proposta dal fotografo Daniele Ratti con la mostra “Due cuori e una capanna”, ospitata presso le Gallerie d’Italia di Napoli e a cura di Benedetta Donato. Una ricerca portata avanti per più di quattro anni dal fotografo milanese mediante 42 scatti di 16 dimore iconiche, che non parla solo di architettura, ma del modo in cui lo spazio abitato viene permeato dall’amore e dal vivere quotidiano. Attraverso le immagini e gli appunti di Ratti, architetto di formazione, la mostra, ospitata negli spazi espositivi dello storico palazzo in via Toledo, è un reportage che intreccia i diversi linguaggi architettonici con le relazioni e i sentimenti di chi le ha progettate, ideate e vissute.

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Daniele Ratti

Il viaggio immaginifico ci riporta a pochi passi da Le Cabanon, sempre in Costa Azzurra, dove, la rivoluzionaria architetta e designer, Eileen Gray, progetta e realizza nel 1926 la Villa E-1027, nominandola con un acronimo di un codice d’amore e dedicandola al suo compagno Jean Badovici. Unica donna in un mondo di architetti uomini, Eileen anticipa il modernismo con una costruzione lineare, di un bianco luminoso in contrasto con il verde del paesaggio e del blu riflesso dal mare. Per rivalità, Le Corbusier ne profanerà i muri candidi un decennio più tardi, dipingendovi otto murales senza autorizzazione. In omaggio alla forza visionaria di Eileen, Ratti immortala l’iconica poltrona Bibendum, da lei progettata, vista in controluce davanti alle vetrate modulari della casa.

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Daniele Ratti

Un altro simbolo del forte legame tra una costruzione innovativa e un’intensa storia d’amore è La Cupola, casa-conchiglia, immersa nel paesaggio della costa Paradiso in Sardegna, voluta da Michelangelo Antonioni per sé e per Monica Vitti negli anni ‘70. Non una casa qualsiasi, ma un’unica gettata di cemento armato sollevata da aria compressa, tecnica inventata da Dante Bini. Fu proprio Monica a conoscere la nuova soluzione costruttiva e a proporla a Michelangelo. Oggi, La Cupola è in stato di abbandono, ma la sua forma resta intatta come un guscio, una promessa.

La lente di Ratti ci svela poi le immagini intime di quella che lui considera la “capanna” più vera di tutte: la casa studio che il fotografo Mimmo Jodice condivide con sua moglie Angela a Posillipo. Un luogo che non ha la firma di un architetto di fama internazionale, ma che trabocca di vita. Al piano di sopra il quotidiano, il sotto è dedicato all’arte. “Non è una casa da visitare – scrive l’autore – è una casa da sentire”. Ci sono poi gli scatti che mostrano il concetto di “casa capanna” intesa come rifugio. A Leros, isola del Dodecaneso, Ratti ritrae la nuova Villa Clara di Marie-Hélène e Olivier Goujon, dove ogni stanza è incontro e ogni tavolo accoglie sconosciuti destinati a diventare amici. In quel luogo, come accadde anni prima nella Villa Clara di Beirut, l’ospitalità è un’arte sottile, quasi invisibile: l’arte di far sentire a casa. Un primo piano di una preziosa e fragile lampada ad olio si staglia su una parete di un giallo intenso a simboleggiare il valore della accoglienza, come un faro nel Mediterraneo.

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Daniele Ratti

Particolare e intimo è il messaggio di riconoscenza di Ratti per un’abitazione alla quale è personalmente legato: Casa Macaluso–Mailander, un casolare toscano nel cuore della campagna senese, abitato da Gino Macaluso, pilota di rally e imprenditore visionario, e da Monica Mailander, presidente della fondazione che porta il nome del marito. Fu proprio Gino, anni prima, ad intuire e valorizzare le doti fotografiche di Ratti, invitandolo a documentare la loro azienda in Svizzera: un gesto che segnò un inizio. In questa casa, il fotografo ritrae due poltrone con i braccioli uno accanto all’altro, fra luce e silenzio – in una storia di intesa profonda, fatta di passione, rispetto e fiducia.

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