Nell’intervistare Mahmoud Al Sharif – fratello di Anas, il “giornalista” apologeta dei massacri e dei rapimenti del 7 ottobre ucciso l’altro giorno dall’esercito israeliano – il Corriere della Sera non se l’è sentita di turbargli il lutto. Gli ha fatto spiegare che il fratello era “un povero uomo di Gaza”, uno che “ha vissuto il mestiere come una missione”. E che tutto ciò che vanno dicendo di lui è falso: “propaganda”. Parla al telefono con la giornalista del Corriere, Mahmoud: “Accetto qualsiasi domanda mi facciate”, dice.
Una promessa di franchezza davanti alle domande magari scomode, vedi mai: disponibilità che l’intervistatrice, per doveroso ritegno, remunera non facendogliene nessuna. Un solo cenno – giusto perché l’intervista non venga troppo somigliante a una velina da tunnel – a quel messaggio in cui il “giornalista” Anas celebra, mentre sono in corso, gli eccidi perpetrati dai macellai cui no, assolutamente no, lui non ha mai prestato nessuna collaborazione. Ma non era il caso di indugiare nemmeno su quello, sul gioioso “post” con cui il fratello di Mahmoud ringraziava Dio per l’opera santa dei cinquemila miliziani e civili che stavano fucilando, accoltellando, stuprando, bruciando vivi 1200 uomini, donne, vecchi e bambini, deportandone altri 250 che sarebbero stati ammazzati con un colpo alla testa, strangolati, torturati nei budelli di Gaza.
Non era il caso di insistere, quando il fratello andava per farfalle spiegando che Anas “non era a capo di nulla” (Israele dice che era a capo di una cellula terrorista). Inutile domandargli “D’accordo, non era a capo di nulla, ma quel messaggio l’aveva scritto sì o no? E come mai l’aveva poi inguattato?”. Perché il “giornalista” doveva essersi reso conto che non era propriamente da curriculum specchiato l’orgasmo social per gli sgozzamenti, e allora l’aveva rimosso. Ma sarebbe stato crudele molestare il fratello con queste irrispettose investigazioni.
“Meglio lasciargli raccontare lo stile del giornalismo d’inchiesta di Anas. Prima della guerra” – dice l’intervistatrice, Greta Privitera – “è capitato più volte che partecipasse come reporter ai comizi e alle celebrazioni di Hamas”. Perché? Lo spiega il fratello: perché “fotografava gli eventi politici della Striscia”. Se poi ci scappava qualche effusione con Yahya Sinwar era per sapiente gestione delle fonti, mica per altro. E se le celebrazioni erano anche quelle durante la guerra, quelle in cui i macellai infierivano sugli ostaggi, apprestando la location per il reportage embedded di Anas, beh, era giornalismo coi fiocchi anche quello.
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Iuri Maria Prado