Simone Perotti è scrittore e skipper: in passato, è stato consulente della comunicazione e poi manager in agenzie e aziende italiane e multinazionali. Ha scritto più di venti libri, pubblicando per le più principali case editrici italiane. È un appassionato di calcio e grande tifoso del Milan. Come giudica questo primo mese di lavoro del nuovo corso rossonero? «Ibrahimovic, nelle vesti di ds, era assolutamente inadeguato. Tare è entrato bene nel ruolo, ha il giusto approccio, parla poco, sta facendo quello che deve fare: imporre la propria linea, in ossequio a quelle che sono le direttive della proprietà». Si comincia a intravvedere l’ossatura di una squadra vera? «Sia in difesa che a centrocampo si è cercato di intervenire con cognizione di causa: ma, a volte, i migliori acquisti sono le cessioni».

Si riferisce a Theo Hernandez? «È un grande giocatore, con doti tecniche importanti, ma non è un uomo squadra. L’episodio dello scorso settembre (lui e Leao durante il cooling break sono rimasti lontani da Fonseca e dal gruppo squadra, ndr) pesa molto sul giudizio del calciatore: è molto discontinuo, non è mai stato in grado di seguire una leadership, uno di quei giocatori che non servono a costruire il Milan che deve esserci». E quali sono i giocatori in grado di rendere il Milan una squadra? «Quelli che sentono e conoscono la storia di questo club: servono uomini veri e ambiziosi, non ragazzini tecnicamente iperdotati».

Lei da anni va per mare: Allegri è lo skipper giusto? «In questa cornice è l’uomo che può fare al meglio quel lavoro di cucitura tra caratteri disordinati di giocatori presi su parametri molto freddi, quasi matematici». Se Theo era così, Rafael non è da meno. «Vedremo se un riposato Allegri riuscirà laddove nessuno è riuscito: portare Leao al centro della scena, un calciatore decisivo in ogni partita e continuo per tutta la stagione. Però dubito che ci riesca: Leao fino a oggi non è stato quel calciatore capace di farti vincere una partita. Se la squadra girava bene, lui seguiva a ruota, ma non ha quasi mai cambiato l’inerzia della partita, se non in rarissime occasioni». Modric? «Lo considero un arrivo scommessa: è un acquisto giusto, perché così come si prendono i 21enni, bisogna poi prendere quelli di esperienza e leadership, e l’ex Madrid rappresenta tutto ciò». Jashari? «Ha la postura e il fuoco sacro dell’Iniesta del Barcellona: il giocatore che sta ovunque, che sa toccare il pallone, ma soprattutto uno di quelli che in mezzo al campo ha ambizioni e voglia di crescere».

 

 

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