C’è un’estate che non finisce mai, ed è quella raccontata dal cinema italiano. È fatta di immagini che, proiettate sul grande schermo, sono entrate nella memoria collettiva come simboli di un’epoca, di un gusto, di un’idea di felicità che seppur cambia nel tempo resta riconoscibile. Dai Sessanta ai Duemila, il Cinema italiano ha raccontato non solo le nostre vacanze, ma il nostro modo di vivere lo spazio: la spiaggia, la casa al mare, il bar, la strada. Ha registrato dettagli che oggi consideriamo iconici: la sdraio a righe bianche e blu, il ventilatore oscillante, il ghiacciolo alla menta, la Vespa, la tavola di plastica bianca sotto un pergolato… Oggetti semplici che diventano simboli di appartenenza e di stile. Forse è per questo che ogni estate torniamo a quei film. Non solo per le storie, ma per l’estetica che ritroviamo in quei fotogrammi. Un’estetica che ci rassicura e ci ispira. Il Cinema non racconta solo il nostro modo di trascorrere vacanze, ma racconta la nostra idea di casa, di convivialità, di bellezza quotidiana. E ci ricorda che, in fondo, l’estate italiana è sempre stata questo: un mosaico di desideri, di riti, di piccoli oggetti che, sullo schermo come nella vita, possono diventare indimenticabili.

La dolce vita

E poi, anzi, prima di tutti c’è La dolce vita (di Federico Fellini, 1960): il manifesto del glamour senza tempo. Non tutti ricordano che gran parte del film è ambientato d’estate, tra feste in terrazza illuminate da lampade scenografiche, divani imbottiti che sembrano anticipare il design degli anni successivi, e abiti sartoriali che scivolano sui corpi sudati di chi danza fino all’alba. È la celebrazione di un’Italia che si scopre internazionale, mondana, e che detta uno stile che ancora oggi influenza moda, arredo, lifestyle.

Il sorpasso

Basta pensare alla corsa sfrenata di Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ne Il sorpasso (di Dino Risi, 1962): due uomini, una Lancia Aurelia B24 che scivola sull’asfalto della via Aurelia, l’Italia del boom economico sullo sfondo. In quelle inquadrature c’è molto più di una gita: ci sono il desiderio di libertà, il vento tra i capelli, le camicie slacciate e gli occhiali da sole scuri. Un’estetica che oggi chiameremmo effortless chic, e che allora era semplicemente vita.

Un sacco bello

Sono gli stessi anni della Roma semideserta di Un sacco bello (di Carlo Verdone, 1980): saracinesche abbassate, tavolini in formica, bicchieri colorati, ventilatori che girano lenti. Il regista racconta chi resta in città, chi sogna la partenza e chi inventa una vacanza tra un bar e una terrazza. È un film che non ha la sabbia tra le dita, ma l’odore del caffè nelle cucine, i piatti di pasta condivisi con amici, le chiacchiere sul pianerottolo. L’estate, qui, è più psicologica che fisica: è un’attesa, un desiderio sospeso.

Sapore di mare

Se negli anni Sessanta il cinema fotografava un Paese in corsa verso la modernità, negli Ottanta arriva Sapore di mare (di Carlo Vanzina, 1983), che della nostalgia fa la sua forza. Ambientato in Versilia, con cabine color pastello, sdraio a righe e ombrelloni piantati nella sabbia, è un viaggio nel cuore dei riti estivi italiani: il gelato al bar, le canzoni che escono dal juke-box, le radio portatili, le borse di paglia. Non è solo un film, ma un’istantanea di uno stile fatto di piccoli oggetti che parlano di vacanze leggere, di un’Italia che si specchia nella propria memoria balneare.

Tre uomini e una gamba

Negli anni Novanta, il viaggio torna protagonista con Tre uomini e una gamba (di Massimo Venier, 1997). Aldo, Giovanni e Giacomo partono verso il Sud con un bagagliaio che sembra il catalogo dell’Italia di allora: sdraio pieghevoli, gonfiabili che non si gonfiano mai, tende improvvisate, la famigerata gamba di legno. È una vacanza che profuma di autogrill, di cartine stradali stropicciate, di campeggi vista mare. In quell’improvvisazione c’è l’estetica di un’Italia semplice, che non conosce resort né comfort, ma sa trasformare ogni imprevisto in una risata.

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