È difficile spiegare chi è stato e cosa ha rappresentato Mika Myllylä a chi non conosce approfonditamente lo sci di fondo. L’aficionado sa perfettamente di chi stiamo parlando, ma per farlo capire al lettore occasionale si può affermare che Mika Myllylä sia stato in Finlandia ciò che Marco Pantani è stato in Italia.

Perché questo impegnativo paragone? Perché divenne un personaggio popolarissimo grazie alle sue imprese sportive, partendo da una disciplina seguita dal pubblico ma subordinata ad altre, guadagnando una visibilità mediatica che quasi tutti gli atleti provenienti dallo stesso sport non hanno mai conseguito. Inoltre, le tempistiche coincidono, grossomodo, con quelle della parabola del Pirata, la cui ascesa e caduta sono altresì affini a quelle del nordico.

Nel caso di Myllylä si parla di uno dei fondisti di maggior successo di fine anni ’90, con 6 medaglie olimpiche e 9 mondiali raccolte tra il 1994 e il 1999. Di esse, 5 sono d’oro. Era diventato un personaggio nazional-popolare, la cui popolarità collideva però con la sua indole solitaria e introversa. Una star mediatica suo malgrado. Poi, a Mondiali di Lahti 2001, venne travolto dallo scandalo che colpì tutta la nazionale finlandese. Doping ematico.

In un’epoca in cui non esistevano santi, i finnici si ritrovarono a fare la figura dei diavoli. La carriera, l’immagine e la vita stessa di Myllylä vennero rovinate da quegli accadimenti. Per lui cominciò una spirale di difficoltà personali, sfociata nella prematura scomparsa, avvenuta a 41 anni, durante l’estate del 2011.

La morte dell’ex fondista venne subito ammantata dal mistero. Gli inquirenti chiusero rapidamente il caso, senza mai comunicare ufficialmente la causa del decesso. Cominciarono a circolare le ipotesi più svariate. Si parlò di un non meglio specificato “incidente domestico”; c’è chi sussurrò di suicidio, altri addirittura di omicidio. Nessuna certezza, però. Si disse di tutto, anche relativamente all’ambiente casalingo in cui vennero ritrovate le spoglie di Mika. Solo voci, però. Leggende.

A più di 14 anni di distanza, la pubblicazione di un libro sulla vita di Myllylä circostanzia, per la prima volta in maniera concreta, gli ultimi momenti di vita dell’atleta. In questo testo – redatto dal giornalista Mika Wickström – si sostiene che sia stato ritrovato seduto sul divano, senza segni di violenze. L’autopsia avrebbe determinato un infarto. Un arresto cardiaco causato, però, da un mix di farmaci e alcool.

La sorella Pia rivela come al campione olimpico della 30 km di Nagano 1998 fossero stati prescritti degli psicofarmaci, che però non avevano fatto altro che peggiorare la sua situazione, tanto da portarlo alla paranoia. Temeva per la sua vita – e in un certo senso aveva ragione – senza tuttavia specificare neppure alla familiare se le minacce fossero concrete, oppure se i demoni fossero nella sua testa. Aveva cominciato a coricarsi tenendo un’ascia sotto al cuscino. Solo paranoia, oppure aveva qualcosa da temere da qualcuno?

Nel libro pubblicato oggi in Finlandia si rivela la causa materiale del decesso di Myllylä, ma in verità non se ne spiegano le ragioni (sempre che possa essere fatto). Perché Mika ingerì quel mix di droga e alcool? Noncuranza? Volontà di porre fine alle proprie sofferenze? La verità, verosimilmente, non la scopriremo mai. Se ne è andata con lui all’inizio di luglio del 2011. Di sicuro c’è solo che la vicenda umana di Myllylä resta triste e tragica, come quella di Marco Pantani alle nostre latitudini.