Amin non è più quel corpo imparziale che osserva da lontano e così fa anche il cinema di Kechiche che segue lo scorrere della vita ma che inizia anche a fare i conti con se stesso. LOCARNO 78 Concorso
—————————-
LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO di SENTIERI SELVAGGI
Dove eravamo rimasti?
Sì, perché la luce sul cinema di Abdellatif Kechiche si era spenta (sembrava definitivamente) nel maggio del 2019. Eravamo a Cannes e Mektoub, My Love: Intermezzo raccoglieva, fin dalle primissime proiezioni, le reazioni ipercritiche di pubblico e stampa. Poi le arcinote polemiche extra schermo con l’attrice protagonista Ophélie Bau, fino ad arrivare al fallimento della casa produttrice del film. Da quel momento il buio più totale. Il secondo capitolo che sparisce dalla circolazione e la carriera di Kechiche che sembra cadere inesorabilmente nel dimenticatoio. Poi, lo scorso 8 luglio, la notizia inaspettata: Mektoub, My Love: Canto Due, terzo e ultimo capitolo del progetto, iniziato nel 2017, Mektoub, My Love, tratto dal romanzo La blessure, la vraie di François Bégaudeau, prenderà parte al concorso del Festival di Locarno.
—————————————————————–
PROFESSIONE CINEMA, un workshop gratuito a Roma il 13/14 settembre
————————————————-
Da quel momento è inevitabilmente cresciuta l’attesa e la curiosità nei confronti dell’epilogo di questa trilogia, che segna anche il ritorno al cinema da parte di uno dei registi più discussi delle ultime decadi. Piaccia o non piaccia, Mektoub, My Love: Canto Due è, quindi, un’opera ontologicamente importante, l’apice conclusivo di una trilogia che rappresenta il lavoro della vita per cui il regista francese-tunisino ha buttato il cuore oltre l’ostacolo.
Se il precedente titolo si inseriva a gamba tesa sulla narrazione principale come intermezzo sperimentale, per certi versi, totalmente respingente (citando la recensione di Simone Emiliani), il Canto Due riposiziona il focus sulla successione di eventi nella finestra estiva della vita del protagonista Amin (Shaïn Boumedine), che forse mai come in questo capitolo diventa l’alter-ego definitivo di Kechiche. In questo senso, il terzo capitolo della trilogia si pone come controcampo ideale della narrazione di Intermezzo, rileggendo i fatti da un’altra prospettiva, forse onirica.
—————————————————————–
SCUOLA DI CINEMA SENTIERI SELVAGGI, scarica la Guida della Triennale 2025/2026
Siamo sempre nel 1994 a Sète, nel sud della Francia, questa volta a settembre. La narrazione riprende da dove l’avevamo lasciata. Ophélie è incinta di Tony, il cugino di Amin, e ha programmato con quest’ultimo di andare a Parigi per abortire. Bisogna fare presto, prima che ritorni il suo promesso sposo, un militare in missione di pace. Intanto, per puro caso, un importante produttore americano in vacanza si interessa alla sceneggiatura di Amin, un film di fantascienza che racconta l’amore tra due umanoidi (alzi la mano chi ha pensato a Blade Runner), dal titolo I princìpi essenziali dell’esistenza universale. L’uomo è deciso a scritturare il ragazzo ma cerca di convincerlo a cambiare il titolo “troppo lungo per Hollywood”, e far interpretare il ruolo della protagonista a sua moglie Jess. Insomma, la neonata creatura dell’aspirante regista sembra già potergli scivolare dalle mani. Fare cinema, forse, non è quel sogno ad occhi aperti a cui Amin ha sempre aspirato.
—————————————————————–
Script Supervisor: la memoria del set, corso online dal 2 settembre!
—————————————————————–
“Ho iniziato a fare cinema perché volevo imbarcarmi in una nuova avventura ma ho scoperto che c’è nessuna avventura nel fare cinema”, confida amara la consumata star di Hollywood Jess ad Amin in un momento di debolezza.
C’è un’amarezza di fondo nascosta tra le pieghe di questo secondo canto in cui lo sguardo di Kechiche si fa ancora sentire, soprattutto nella prima parte. Ma poi, col passare dei minuti, sembra rivolgersi verso il suo protagonista, o meglio, verso se stesso. Amin non è più quel corpo imparziale che osserva gli altri da lontano ma diventa lui stesso parte integrante del racconto, decidendo finalmente di irrompere sulla scena, sporcandosi le mani nella rocambolesca sequenza finale in cui è il suo intervento ad innescare l’azione.
Ecco che, come il protagonista del proprio racconto, anche il cinema di Kechiche, sempre filologicamente coerente a se stesso, inizia a raccontarsi, a fare i conti con se stesso, sparigliando le carte in tavola della narrazione, senza autocompiacersi ma parlando di cinema, dell’amore/odio nel farlo, il cinema. E allora si cita Bergman, ma anche Scorsese e la sequenza del suo Toro scatenato in cui De Niro si fa colpire ripetutamente da Joe Pesci (a proposito di autolesionismo cinematografico).
No, questa volta non c’è una sequenza che cannibalizza lo sguardo dello spettatore come nel precedente intermezzo. C’è solo un ragazzo che corre, corre a perdifiato come Antoine Doinel, lontano dal caos, lontano dai guai, lontano dall’inferno della realtà.
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto dei lettori
3.6
(5 voti)
—————————-
BORSE DI STUDIO per LAUREATI DAMS e Università similari per la Scuola di Cinema Sentieri selvaggi
—————————-