Immagina: sei a Nashville o nel New Mexico o, se preferisci, nei sobborghi di Londra o Edimburgo. In un’afosa notte d’estate, entri in un cocktail bar dal sapore vintage; qualcuno mette su dei vecchi vinili del secolo scorso, un po’ blues, un po’ rock anni ‘60-’70, un po’ soul, persino un po’ funk. Prendi il tuo drink ghiacciato e una locandina dalla grafica pop retrò psichedelica ti dice che sei finito ad uno dei famosi “Record Hangs”, quei dance parties organizzati dai membri dei The Black Keys, che si alternano alla consolle, durante il dj set, per suonare ai fan estasiati rari vinili 45 giri, estratti dalla loro collezione. Hai visualizzato l’atmosfera, riesci a sentire il groove? 

Ecco! Questo è ciò che si respira e si sente in “No Rain, No Flower”, tredicesimo album in studio del duo statunitense di Daniel Auerbach (voce e chitarra) e Patrick Carney (batteria).

Per un disco fatto artigianalmente alla vecchia maniera, prodotto e registrato agli Easy Eye Sound Studios di Nashville dalla band stessa, maniacalmente curato nei dettagli, che non faccia rimpiangere il sound dei vinili rari tanto amati, Auerbach e Carney si sono affidati, nella scrittura, a collaborazioni di tutto rispetto che arricchiscono con discrezione e dedizione l’eclettismo musicale di questo lavoro: si passa da Rick Nowels, produttore di Lana Del Rey, con cui Dan aveva lavorato al tempo di “Ultraviolence” (di Lana Del Rey), ai producer e songwriter Desmond Child, Daniel Tashian e Scott Storch.

Il culto per tutto ciò che è analogico si percepisce fin dall’estetica vintage, fedele al consueto gusto dei The Black Keys, scelta per l’artwork del disco. Per la copertina sono riproposti font tipografici retrò che campeggiano, con il titolo dell’opera, su un nastro in un tatuaggio old school con una rosa rossa (unica nota di colore su un fondo bianco e nero) sul petto di un biker che fuma e che bagna con le sue lacrime il fiore reciso. La stessa grafica aveva già accompagnato i primi singoli estratti (No Rain, No Flowers, Babygirl, The Night Before).

Come se non bastasse, “No Rain, No Flowers” sarà disponibile, oltre che nella versione in CD, in diverse edizioni limitate su vinile 12” colorato, con incluso un poster pieghevole con illustrazioni in stile tattoo old school, una per ogni brano. 

Il duo dell’Ohio pare voglia avvertirci che senza lacrime che li bagnino come pioggia, non possano nascere fiori. Così sentenziano sia il titolo dell’album, che giunge dopo un 2024 difficile, sul piano personale e artistico, tra un disco non clamoroso malgrado le blasonate collabs (“Ohio Players”, che ha visto la partecipazione, ad esempio, di Beck e Noel Gallagher), la rottura con il management e un tour annullato, sia la title track electro-rock, che delinea perfettamente la filosofia abbracciata dal duo, necessaria per superare le maree avverse della vita e ritrovare il sole dopo i momenti bui (“Baby, the damage is done / It won’t be long ‘til we’re back in the sun”), perché da maggior dolore non può che derivare maggior forza.

L’euforico groove di The Night Before celebra l’inebriante fascino della notte e ci racconta il risveglio di un memorabile e allucinante post sbornia (“I’m seeing stars everywhere I go”), con tanto di caduta dal letto. Il singolo è stato accompagnato da un divertente video in bianco e nero diretto da Running Bear, che vede il facchino e la cameriera di un hotel risvegliarsi, dopo che la notte prima hanno abbandonato le proprie mansioni e infranto tutte le regole, assaltando la lavanderia, rubando l’alcool dal frigobar della stanza di un ospite, ballando e correndo per i corridoi, saltando sui letti, per poi tenersi al caldo l’un l’altra a luci spente (“I got a girl who treat me right / Who keep me warm when I turn out the light”). L’ode alla notte come dimensione di evasione negli eccessi e, insieme, di smarrimento si ritroverà anche in A Little Too High.

La presenza femminile domina con elegante sensualità Babygirl in cui è descritta con leggerezza la donna desiderata (“I just wanna put my arms around you / To tell you you’re my babygirl”), ancora più bella quando è persa nei suoi sogni ad occhi aperti. Un amore luminoso e ancora in divenire trova spazio nella ballad funky All My Life, mentre desiderio e rimpianto trasudano dalla più cupa Down to Nothing: chitarre più sporche e basso distorto per dolore della perdita e solitudine spesi in bar solitari, dopo una relazione finita. A queste sensazioni si aggiunge, in On Repeat, la difficoltà di dimenticare momenti, immagini, parole, addii (“On repeat / I keep seeing you saying goodbye”) che si ripropongono ossessivamente a ripetizione, giorno dopo giorno davanti agli occhi e nel labirinto di pensieri intrusivi, il cui andamento ciclico è reso dal ritmo funk ipnotico del brano. L’accattivante Make You Mine dal gusto pop psichedelico anni ‘70 si fa più esplicita, ma risulta meno sexy di quanto vorrebbe. Risulta molto più seducente, con la voce rauca di Dan, Man on a Mission, un pezzo che riporta alle vibes di “El Camino”. Kiss It, invece, ci diverte, presentandosi ironicamente sfacciata e provocatoria.

In maniera del tutto inaspettata, infine, arriva in chiusa una vulnerabile ballad folk acustica alla Dylan: introspettiva e raffinata, Neon Moon, parla di solitudine e smarrimento per le strade della vita in un mondo artificiale in cui non ci sono più punti di riferimento saldi da seguire sulla volta celeste, quando si viaggia di notte. Tutto ciò che può riportarti a casa è solo una pallida insegna al neon, una luna certamente meno mutevole e incostante di quella vera. 

No Rain, No Flowers” esplora scenari e disposizioni d’animo già consueti nella pluridecennale produzione del duo, ma con rinnovato autentico piacere nella ricerca del suono e nel consolidamento della propria matura identità artistica. Lasciando intravedere il percorso, compiuto dentro la fucina degli artisti, di fioritura emotiva e compositiva delle canzoni, accompagnate nella loro crescita e nutrite anche di lacrime e dolore, l’album riscatta la band dalle difficoltà recenti con qualche pezzo che magari sentiremo suonato abbastanza spesso in radio di qualità.