di
Irene Soave

A piede libero da giugno dopo 12 anni in carcere per femminicidio. Ha scritto un libro, vende poster e t-shirt sui social: «Non preoccuparti, non è sangue»

DALLA NOSTRA INVIATA
BERLINO – Un uomo sorride alla telecamera, in piedi accanto a lui c’è una donna che indossa una maglietta nera. Sul davanti, la scritta sulla maglietta recita: «Sono sopravvissuta a un appuntamento con l’assassino di Maschsee». Sul retro, in lettere rosse e gocciolanti, c’è scritto: «Non preoccuparti, non è il mio sangue». È il sunto – del quotidiano Tagesspiegel – di un breve video rimosso da TikTok; la maglietta resta in vendita online, insieme ad altre ugualmente macabre. 

L’assassino è un assassino per davvero: nel 2012 uccise e smembrò una prostituta. Alexander K., 36 anni, ucraino trasferitosi da piccolo a Minder, città del Nord Reno-Vestfalia, è stato scarcerato lo scorso giugno dopo 12 anni di carcere. Ha già anche pubblicato un memoir. Instagram e TikTok hanno congelato i suoi account; ma – si chiede il quotidiano tedesco – è possibile anche perseguirlo penalmente? Probabilmente no.



















































La storia di Alexander K.

Nel 2011 un suo conoscente contattò la polizia perché sconvolto dalle confidenze dell’amico, che desiderava uccidere qualcuno. A ottobre 2012, K. – che all’epoca era un rapper, noto per i suoi testi di estrema destra –  ha infine ucciso una prostituta di 44 anni e ne ha smembrato il corpo senza vita, gettandolo nel lago Maschsee di Hannover. Ha costretto l’allora fidanzata ad aiutarlo, e poi ha cercato di scaricare su di lei la colpa dell’omicidio. 

K. fu ritenuto affetto da una ridotta capacità di giudizio a causa di un grave disturbo di personalità, nello specifico un disturbo antisociale di personalità con elementi narcisistici e paranoici. Di qui la pena mite: 12 anni per un omicidio efferato.  

Sempre sui social 

Il figlio della donna uccisa protestò: «Dovrebbe non uscire mai più di galera», diceva ai giornali. E invece una perizia del 2021 certifica che K. non è più un pericolo per la collettività. Oggi è in libertà vigilata. Ne gode appieno e, fino al blocco di Instagram e TikTok, stava sempre sui social. 

Un’inchiesta del Tagesspiegel ha interpellato diversi giuristi: impedirgli di usare i social è quasi impossibile, perché il principio della riabilitazione dopo una pena detentiva è intoccabile. Una persona che esce di galera dopo aver scontato la sua pena, cioè, deve avere le stesse libertà degli altri. 

Il figlio della donna uccisa, Julian Hamed, sta ora raccogliendo donazioni per una causa civile contro K., che «lede la dignità della vittima». Ma la strada sembra lunga, e piena di ambiguità.  

16 agosto 2025 ( modifica il 16 agosto 2025 | 12:23)