La prima volta che lascio casa libera a mia figlia la scuola è finita, e lei è stata promossa con tutti 7 e 8. Stessi voti le altre, sono un gruppo di quattro amiche: Olivia e Sara si conoscono dalle elementari. Michela è arrivata alle medie, Benedetta quest’anno, in prima liceo.
Le guardo uscire insieme dal portone, camminare per strada: la giovinezza – penso. Spesso, di sguincio, scambio Olivia per Sara e viceversa. Entrambe bionde, coi capelli lunghi.
Mi capita di controllare di nascosto il telefono di Olivia. I messaggi dei ragazzi che la corteggiano, la chat del gruppo Whatsapp Girls – loro quattro.
Mio marito dice che esagero: non vedo che nostra figlia è una brava ragazza? Studia, fa sport, non beve, non fuma.
Non possiamo saperlo con certezza – contesto. Chi ce lo dice che il sabato sera…
Va bene, nelle chat trovo conversazioni tipiche della sua età, niente di allarmante. Ragazzi che le chiedono di uscire, lei che risponde: ci vediamo a scuola. È prudente, ha quasi timore di buttarsi nella vita.
Sei mesi fa.
Sei mesi dopo ci sono io nello studio della psicologa – su indicazione del Tribunale dei minori, “Consigliata una terapia psicologica alla madre” (a seguito dei test a cui io e mio marito siamo stati sottoposti. Tra le domande: “Hai mai pensato di uccidere qualcuno?/ sì/no/a volte”).
artwork di Zoe Hawk
La dottoressa chiede se mi attribuisca delle colpe.
Ho fatto il possibile – dico. Qualcuno potrebbe dire che avrei potuto sorvegliare meglio, figuriamoci, una schiera di persone pronta a puntare il dito… la verità è che io sono stata attentissima, per esempio: mia figlia dimostra più dei suoi quattordici anni, per strada gli uomini si girano a guardarla, ne sono consapevole.
La dottoressa domanda quale sia il mio timore.
Gli uomini grandi.
Lei chiede la relazione tra questa mia paura e i fatti.
Nessuno mi toglie dalla testa che ci sia stata un’influenza esterna, gente adulta – dico.
Andando per ordine, cercando di ricostruire l’accaduto: la prima volta che lascio casa libera a Olivia è dopo la pagella, alla vigilia della partenza per l’Inghilterra – starà un mese in college insieme a Sara.
All’inizio accetto di andarmene, dormire in albergo perché lei dia una festa con gli amici, una festicciola di poche persone. Poi cambio idea. Va bene, saranno in quindici, ma comunque minorenni.
Convoco mia figlia. Dico amore, cerca di capire, io sono responsabile di tutti voi, insomma, non è il caso.
Lei balbetta: non farmi questo.
Può succedere qualcosa, se succede qualcosa – io.
Olivia scoppia a piangere: ho organizzato tutto, come faccio adesso.
Litighiamo, non ti fidi di me, urla lei. Piange. Va in camera sua, sento la porta sbattere.
Dopo mezz’ora torna. Si siede sul letto: mamma, io so che vuoi proteggermi…
Questo mi piace di mia figlia, la ragionevolezza. La possibilità di comprendere l’una la posizione dell’altra e di venirci incontro.
Difatti arriviamo a un compromesso: lei fa la festa, ma io rimango a casa, seppure chiusa in camera. Mi metterò i tappi nelle orecchie, non protesterò per la musica alta.
Musica che durerà non oltre mezzanotte – promette Olivia, che al contempo garantisce responsabilità. Riordineranno, puliranno.
Non voglio sigarette in giro – dico.
Per caso io sono una persona disordinata?
Ordinata, ubbidiente, giudiziosa, un po’ svagata – se devo trovare un difetto a mia figlia.
artwork di Zoe Hawk
Quel giorno che è uscita di casa in ciabatte. La volta che ha dimenticato lo zaino coi libri a scuola.
La sera che, al termine di una giornata di studio e pallavolo, si è addormenta vestita sul letto, ebbene quella sera che d’un tratto appare in salotto per dirmi che devo aiutarla a cercare il coniglio.
Quale coniglio?
Il mio.
Io dico che non ha mai avuto un coniglio.
Lei dice: è scappato.
Ne è talmente sicura che a un certo punto mi viene il dubbio: che non abbia davvero comprato un coniglio?
Così quando mi chiede di guardare sotto il letto, io mi distendo sul pavimento a guardare sotto il letto. Lì mi sono sentita una cretina, dottoressa. Non una madre, piuttosto un’amica. E no, non bisogna mai essere amici dei propri figli.
Per fortuna torno in me.
Le chiedo se ha fatto un brutto sogno.
L’aiuto a spogliarsi, infilare il pigiama.
Il giorno dopo ridiamo del coniglio, il coniglio diventa un gioco tra noi. Le volte che lei avanza richieste spropositate, le volte che io ho paure infondate come droga e sesso.
Il coniglio è il nostro paradosso, il nostro modo per tornare al piano di realtà… Piano di realtà poi, alla luce di ciò che è successo… Lei mi chiede se io mi senta in colpa, dottoressa. Come madre ho tenuto gli occhi bene aperti, ogni sera svuotavo le tasche della sua giacca, ispezionavo i cassetti.
Spiando il telefono vedevo una normale quattordicenne, i primi amori da un parte, l’infanzia dall’altra.
Leggendo la chat Girls:
Olly, lui non si deve permettere di chiamarti troia.
Fai che lo incontro di persona…
Sfigato di merda. Se una ti dà il pacco, tu la chiami troia, ahahahah.
Ragazze!!! Mamma mi ha regalato un Labubu rosaaa!!!
Original?
Yes!
La sera che lascio casa a Olivia, mio marito è in Francia per lavoro – ricostruisco.
artwork di Zoe Hawk
Da camera mia sento le amiche su e giù per le scale. Sara che si lamenta: non sono lisci, ripassami la piastra.
Arrivano gli altri. Voci, musica, la festa ha inizio.
Credo di aver pensato alla mia di adolescenza. Mi pare di aver ragionato sulle somiglianze tra la mia e quella di Olivia, le feste dei miei quattordici anni… in generale le somiglianze trasversali di tutte le adolescenze. Penso che la giovinezza sia questa cosa complicata di cercare di mettere la testa fuori, tentativi su tentativi, sbagliati, a vuoto, ma forse noi genitori dobbiamo concedere ai nostri figli proprio questo… l’errore, l’unico modo di crescere del resto è fare esperienza. A maggior ragione io non posso rimproverarmi niente, o quasi. Quella sera ero lì, chiusa in camera, a vigilare. Non so se altri genitori al posto mio.
Ritorniamo ai fatti: a mezzanotte e mezza circa vengo svegliata dalle urla – continuo a ricostruire, torno indietro con la mente, sono di nuovo nel letto, sei mesi prima:
Mamma, mamma – colpi alla porta.
Scatto in piedi, apro. Mia figlia in lacrime grida Sara.
Scendo in salotto. Eccoli gli adolescenti, sfatti, mezzi nudi – solo in quel momento mi accorgo che lo è anche mia figlia, in reggiseno e mutandine – eccoli gli adolescenti tra bottiglie di superalcolici, cibo, e sigarette a terra. La giovinezza trasversale in mezzo alla quale, alla giovinezza e ai suoi resti, io avanzo, perché mia figlia indica laggiù, intendendo il secondo salotto. E laggiù è Sara, colei che ho visto crescere, colei che di sguincio ho scambiato per mia figlia. Sul pavimento, priva di sensi, in una chiazza di vomito. La scuoto, schiaffetti sulle guance, non si sveglia. Dico a Olivia di passarmi il telefono, qualsiasi telefono, chiamo il 118.
Quando gli operatori dell’ambulanza sentendo i parametri vitali della ragazza chiedono agli altri cosa sia successo, cosa abbia preso, loro rispondono: alcolici.
Io urlo: la verità, cazzo.
E mia figlia, ordinata, ubbidiente, fisicamente più grande dei suoi quattordici anni, mia figlia dice: cocaina, ketamina, vodka più cinque pasticche di Xanax, forse sei.
Mentre io penso che è una follia, chi l’ha portata la droga, un adulto, deve essere entrato un uomo adulto (in seguito, dalle analisi emergerà che Olivia faceva uso regolare di droghe da almeno un anno), in questa notte d’estate, per strada, con Sara sulla barella infilata nell’ambulanza, Sara che nella penombra sembra mia figlia, nel momento in cui Olivia prendendomi la mano, stringendola, dice: dimmi che non muore, mamma, ti prego. In quel momento, con l’ambulanza che parte proiettando sulla strada il riflesso delle luci azzurre, un riflesso cangiante che per un attimo prende la forma di un coniglio. Io vedo un coniglio, cosa ho visto, cosa ho voluto vedere, dottoressa.
Scrittrice e sceneggiatrice, Teresa Ciabatti vive a Roma. Finalista al Premio Strega 2017 con La più amata (Mondadori), quest’anno ha pubblicato Donnaregina (Mondadori).