Ubicata tra i vicoli del centro storico, prospicente la piazzetta omonima su via dei Tribunali, la Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta non è soltanto il primo edificio religioso napoletano dedicato al culto della Vergine ma un vero e proprio glossario architettonico della città, dalle sue radici greco-romane fino al barocco partenopeo. Fondata nel VI secolo per volontà del vescovo Pomponio, sulle rovine di un antico tempio romano dedicato a Diana, la Pietrasanta deve il suo nome a una misteriosa “pietra santa”, probabilmente un reperto paleocristiano, che segnava il luogo come sacro già nei secoli più remoti. Oggi la sua facciata sobria e severa, in tufo giallo napoletano, cela tesori artistici, decorazioni seicentesche, cripte suggestive e uno dei campanili più antichi di Napoli. Oggi restaurata e riconvertita in spazio espositivo, è oramai come un luogo d’incontro tra il sacro e il contemporaneo, un contenitore culturale al servizio della collettività tra memoria e avanguardia.

pablo picasso, arlequin et sa compagne (les deux saltimbanques), 1901, collotipia a colori, 103 x 73,5 cm, collezione privatapinterestSuccession Picasso, by SIAE 2025

Pablo Picasso, Arlequin et sa compagne (Les Deux Saltimbanques), 1901, Collotipia a colori, 103 x 73,5 cm, Collezione Privata

Ad occupare gli spazi espositivi di questo edificio, dal 10 Maggio scorso, è la mostra “Picasso. Il linguaggio delle idee”; prodotta da Navigare srl in collaborazione con Lapis Museum, e con il patrocinio della Regione Campania e Comune di Napoli, racconta un Pablo Picasso non solo quale artista ma, piuttosto, come costruttore di un immenso e variegato panorama di linguaggi visivi, ciascuno scritto con la propria grammatica estetica e con la propria modalità di comunicazione, ognuno figlio di storie differenti. Curata dagli spagnoli Joan Abelló e Stefano Oliviero, il percorso si estende lungo una selezione di circa cento opere suddivise in otto sezioni: Picasso, Arlecchino e i saltimbanchi; Le Tricorne; Le Incisioni; Le Ceramiche; Paloma; Manifesti e L’Amico vagabondo divertente, benchè – ad una visione più generale – risulta strutturata intorno a due altri macro assi principali. Un primo più tecnico, legato ai suoi medium “alternativi” della carta, dell’incisione e della ceramica. Un secondo, invece, più legato agli aspetti intimi dell’uomo Picasso: quello del rapporto di amicizia con diversi altri artisti, tra i quali, ad esempio, Angel Fernandez de Soto, ma anche Edward Quinn e André Villers, personalità che lo hanno affiancato negli ultimi anni di vita e di cui, in questa occasione, sono testimonianza una serie di scatti fotografici; una prospettiva sicuramente meno esaminata da altre sue esposizioni, che ha l’obiettivo di mettere in parallelo le sue evoluzioni artistiche con l’inevitabile influenza di amici e collaboratori a lui vicini.

andré villers, ritratto di pablo picasso vestito da braccio di ferro, collezione privatapinterestAndré Villers and Succession Picasso, by SIAE 2025

André Villers, Ritratto di Pablo Picasso vestito da braccio di ferro, Collezione Privata

Napoli non è solo il luogo che ospita questo appuntamento è anche un posto che Picasso ha amato molto e frequentato tra il 1917 e il 1924, sia per trarne ispirazione che per lavorare ad alcune speciali commissioni teatrali. In quegli anni, infatti, si dedica all’allestimento e ai costumi della “Parade” della compagnia dei Balletti Russi – soprattutto ad un monumentale sipario di 17×10 metri realizzato proprio per Sergei Diaghilev e conservato al Centre Georges Pompidou di Parigi – ma anche a quelli di “Pulcinella”, stimolato dal fascino delle maschere tradizionali, e a “Le Tricorne”, (Il cappello a tre punte in italiano), altra fatica danzante di Diaghilev, desunto dall’ omonimo romanzo popolare del 1874 di Pedro Antonio de Alarcón y Ariza e musicato da Manuel de Falla; proprio di quest’ultimo lavoro, in mostra, 33 stampe di disegni realizzati dall’artista che restituiscono quell’architettura visiva dove la quinta teatrale diventa la tela e i costumi pennellate cromatiche tra mediterraneità e tracce di decorazione iberica.

pablo picasso, spanish pitcher, ceramica, 22,5 x 11,5 x 1,24 cm, 1954, ed. madoura, multipli originali collezione privatapinterestSuccession Picasso, by SIAE 2025

Pablo Picasso, Spanish Pitcher, Ceramica, 22,5 x 11,5 x 1,24 cm, 1954, Ed. Madoura, multipli originali Collezione Privata

pablo picasso, olga, 1919, matita, inchiostro, acquerello e gouache su carta, 14,5 x 9 cm, collezione privatapinterestSuccession Picasso, by SIAE 2025

Pablo Picasso, Olga, 1919, Matita, inchiostro, acquerello e gouache su carta, 14,5 x 9 cm, Collezione Privata

Folta anche la sezione sulle incisioni – acqueforti, acquetinte, puntesecche, xilografie, litografie – che rivelano l’altra faccia di questo maestro conosciuto dai più, soprattutto, per le sue importanti fatiche pittoriche e scultoree: tecniche che rendevano omaggio al suo grande talento di disegnatore e, contemporaneamente aprivano nuove strade; un linguaggio che, pur distante dalla velocità e dalla passionalità della pittura, ha il dono di conservare la primordiale forza del segno. Un segno che torna anche nella rappresentazione di soggetti più tradizionali e certamente più conosciuti come quelli legati alla figura di Arlecchino e dei Saltimbanchi – caratteri intensi e nostalgici, tipici dal suo periodo “Blu” – di cui è possibile apprezzare l’acquaforte e acquatinta “Les Saltimbanques (The Acrobats) au chien” del 1905 e la collotipia a colori “Arlequin et sa compagne (Les Deux Saltimbanques)” del 1901.

pablo picasso, les saltimbanques(the acrobats) au chien 1905. acquaforte e acquatinta, 67 x 48,4 cm, collezione privatapinterestSuccession Picasso, by SIAE 2025

Pablo Picasso, Les Saltimbanques (The Acrobats) au chien 1905, acquaforte e acquatinta, 67 x 48,4 cm, Collezione Privata

Completano il percorso dieci ceramiche realizzate negli anni Cinquanta a Vallauris, in Francia altrettanti dieci manifesti realizzati per la promozione di sue stesse mostre. Un Picasso “altro”, poliedrico, che conosceva il valore dell’amicizia e che viveva il mondo e il suo lavoro con grande naturalezza, la stessa che gli permetteva di passare indistintamente dal grande dipinto alla realizzazione di opere, cosiddette, di “arte minore”, senza mai perdere qualità.