di
Piero Di Domenico
La mostra «Mare Magnum. Da Ferdinando Scianna a Martin Parr – I fotografi Magnum e le spiagge», curata da Andréa Holzherr, è visitabile fino al 5 ottobre negli spazi di Villa Mussolini
Immagini di un passato che oggi sembra ancora più lontano. Quando le spiagge erano affollate non solo nei weekend e registravano dati ben diversi dal -30% di questa difficile estate segnata da prezzi folli e lidi in crisi. Sono quelle che si ritrovano nella mostra «Mare Magnum. Da Ferdinando Scianna a Martin Parr – I fotografi Magnum e le spiagge», curata da Andréa Holzherr, che fino al 5 ottobre si può visitare a Riccione, negli spazi di Villa Mussolini, un tempo residenza estiva del duce e della sua famiglia.
Nel percorso le immagini di otto grandi fotografi dell’agenzia Magnum Photos: Ferdinando Scianna, Bruno Barbey, Bruce Gilden, Harry Gruyaert, Trent Parke, Olivia Arthur, Newsha Tavakolian e Martin Parr.
«Da fotografo è soprattutto questo che mi ha affascinato delle spiagge: la vanità, l’esibizione, lo specchio sociale, le relazioni umane, la volgarità, il gioco dei corpi, il rito di massa. Ho fotografato spiagge dappertutto, lo spettacolo era sempre assicurato». Così l’82ebbe siciliano Ferdinando Scianna, nato a Bagheria, spiega i motivi che lo hanno spesso spinto a scattare foto degli arenili. Compresa una serie realizzata interamente in Romagna, a Riccione nel 1989. Tra gli scatti, quello con una spiaggia schiacciata da un’impressionante distesa di brandine e due tra gli scivoli dell’Aquafan. Per Scianna «la spiaggia è una sorta di omologazione metaforica del “tutti insieme per divertirsi”. Anch’io sono stato un ragazzo di mare perché sono nato lì, ma ero di scoglio. A Riccione ho ripreso distese di file di ombrelloni tutte insieme, da me in Sicilia quando c’erano tre persone in una caletta erano già troppi. Comunque ognuno dei fotografi in mostra racconta una realtà che è un po’ la propria storia».
Tra coloro che hanno dedicato più attenzione alla fotografia di spiaggia c’è il 73enne inglese Martin Parr, in mostra qualche mese fa al Museo Archeologico di Bologna. La sua è un’esplorazione ironica della balneazione britannica, capace di cogliere attimi di goffaggine e assurdità che definiscono il rapporto del Regno Unito con le sue località costiere. Tra gli scatti più noti quelli del papà che in acqua, afferrando il piedino del suo bimbo, in perfetto equilibrio lo eleva verso il cielo, e dell’anziana signora che dietro un paravento, col fazzoletto in testa, gode dei raggi solari leggendo un giornale. Poi la spiaggia libera con la bagnante che torna a casa, tenendo in mano la sedia a sdraio ben piegata, una delle opere più suggestive di Parr.
Nel percorso si incrocia anche il francese Bruno Barbey con una serie dedicata alla Cina. Dove la spiaggia è diventata in breve tempo un luogo di turismo di massa e di sviluppo urbano. Le strutture create dall’uomo, come alberghi, ombrelloni o passerelle, si perdono un po’ sullo sfondo mentre sono i bagnanti a dominare la composizione. A suggerire che, nonostante la rapida modernizzazione che ha toccato la Cina, il mare rimane pur sempre il punto di riferimento costante.
Non tutti i litorali sono però uguali, come dimostrano le due giovani fotografe Olivia Arthur e Newsha Tavakolian. La prima si concentra sulle spiagge di Mumbai, in India, fotografando gruppi di persone impegnate in silenziosi rituali quotidiani. Newsha Tavakolian, invece, sulle spiagge del Mar Caspio offre una esplorazione dell’identità personale e collettiva, sullo sfondo del complesso paesaggio sociale e politico dell’Iran.
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16 agosto 2025
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