La stagione della raccolta delle mele è ufficialmente iniziata in Italia, e come sempre il via arriva dal Trentino Alto Adige, cuore pulsante della melicoltura nazionale. Qui si coltivano circa due terzi della produzione italiana, e le prime cassette di Gala – la varietà che apre la stagione – hanno già iniziato a lasciare i frutteti, in attesa delle raccolte autunnali di Golden Delicious, Fuji e altre tipologie.

Il 2025, però, si presenta con un quadro in chiaroscuro. Se da un lato il nostro Paese resta un gigante europeo delle mele, secondo solo alla Polonia, dall’altro i dati indicano un calo produttivo medio del 3% rispetto al 2024, pari a 2,25 miliardi di chili.

Dietro questa cifra nazionale, relativamente contenuta, si nascondono differenze regionali molto più marcate, con alcune aree in forte difficoltà e altre che vivono un rimbalzo positivo.

I numeri della raccolta di mele in Italia

I dati diffusi da Coldiretti, elaborati su base Prognosfruit, offrono una fotografia molto chiara: la raccolta di mele in Italia nel 2025 è il risultato diretto della variabilità climatica e dell’impatto sempre più evidente degli eventi estremi. Nonostante il calo medio nazionale sia contenuto, le differenze tra le singole aree produttive sono marcate e raccontano storie molto diverse.

Il Trentino apre la stagione con un segno positivo. La produzione cresce del 5% grazie a una combinazione favorevole di fattori climatici. Le piogge regolari, unite all’assenza di gelate tardive, hanno permesso ai frutteti di sviluppare frutti di ottima qualità, con pezzatura uniforme e una resa superiore alla media.

Scenario opposto in Veneto, dove il raccolto crolla dell’11%. Qui le grandinate estive, sempre più frequenti e violente, hanno danneggiato gravemente i frutti, riducendo sensibilmente le rese commercializzabili.

A subire un calo, seppur più contenuto, è anche l’Alto Adige: -3%, un arretramento dovuto principalmente allo stress idrico in alcune zone e alla pressione di parassiti che hanno compromesso parte del raccolto.

L’Emilia-Romagna segna un -6%: le alte temperature registrate in piena estate hanno inciso sullo sviluppo dei frutti, mentre la cimice asiatica, ormai un problema cronico, ha causato ulteriori perdite.

Simile la situazione del Friuli Venezia Giulia, che con un -5% registra una flessione moderata, ma diffusa in modo uniforme su tutto il territorio regionale.

Il caso più critico è però quello del Piemonte, dove il calo tocca il 15%, il dato peggiore a livello nazionale. Qui i produttori hanno dovuto fare i conti con una stagione segnata da violente grandinate e dalla diffusione di malattie fungine, che hanno inciso pesantemente sia sulla quantità che sulla qualità delle mele raccolte.

All’opposto, spicca la Lombardia, che mette a segno un incremento record del 35%. Più che una vera “super annata”, si tratta di un effetto rimbalzo rispetto a un 2024 particolarmente deludente, quando eventi climatici avversi avevano drasticamente ridotto le rese.

Nel complesso, se l’andamento nazionale sembra ancora stabile, la criticità emerge guardando alle aree in perdita. Piemonte e Veneto, due regioni chiave per l’export, stanno registrando flessioni importanti, e questo potrebbe avere ripercussioni non solo sul mercato interno, ma anche sulle esportazioni, con possibili effetti a catena sui prezzi e sulla competitività dell’Italia nei mercati esteri.

Varietà in crisi e varietà in crescita

Anche sul fronte varietale il 2025 è un anno di contrasti. Le Golden Delicious, le mele più diffuse in Italia, registrano una crescita del 3%, mentre le cosiddette varietà “club” – marchi registrati come Pink Lady o Kanzi – continuano a guadagnare mercato grazie a strategie di marketing mirate e a un posizionamento premium.

Le difficoltà riguardano soprattutto le varietà tradizionali:

  • Red Delicious – -21%, minimo storico di 156.366 tonnellate;
  • Gala – -7%;
  • Granny Smith – -16%;
  • Fuji – -3%.

Particolarmente preoccupante è il calo delle mele biologiche, che con un -12% scendono al 7% del raccolto totale. Una flessione che riflette le difficoltà produttive legate a rese più basse e a una minore disponibilità di prodotti fitosanitari ammessi.

L’impatto sui prezzi e sul consumatore

Il calo produttivo in alcune regioni, unito alla maggiore selezione qualitativa richiesta dai mercati, potrebbe tradursi in prezzi più alti al consumo. Tuttavia, l’aumento non sarà uniforme:

Nelle aree dove la produzione è cresciuta (Trentino, Lombardia) l’offerta abbondante potrebbe mantenere stabili i prezzi locali, mentre nei mercati riforniti da regioni in calo (Piemonte, Veneto) i prezzi potrebbero invece salire più sensibilmente.

In generale, per i produttori il rischio è di dover compensare i maggiori costi di produzione con un incremento dei listini, in un contesto di consumatori già provati dall’inflazione alimentare.