«Finché mi emoziono, vado avanti». È questo il mantra che ha permesso al trentenne borgarino Christian Chesta di chiudere l’undicesima edizione della Transcontinental Race, la più prestigiosa competizione europea di ultracycling, scattata alle 20 del 27 luglio da Santiago de Compostela, in Spagna. Le regole del gioco? Cinque checkpoint – Picos de Europa, Col du Tourmalet, Strada dell’Assietta, Siena-Pacentro, Burrel – presso i quali transitare con dei cancelli orari da rispettare, sei «parcours», tratti obbligatori, spesso con segmenti di sterrato – il primo, il più lungo, da Santiago de Compostela a Finisterre – arrivo a Constanța, in Romania, sulle rive del Mar Nero, entro le 24 di giovedì 14 agosto. Il tutto in totale autonomia, senza alcun supporto: se avere un buon motore è fondamentale per sperare di portarla a termine, l’organizzazione e la capacità di reagire agli imprevisti sono altrettanto importanti.
Sul Col du Tourmalet a 47 gradi
Nei 5.014 chilometri – in media 280 al giorno – con 56.600 metri di dislivello pedalati in Spagna, Francia, Italia, Albania, Macedonia del Nord, Serbia, Bulgaria e Romania le difficoltà non sono mancate, come l’ampio spettro di temperature trovate – dai 2 gradi sul Col du Tourmalet ai 47 gradi in Macedonia del Nord – al traghetto da Bari a Durazzo non preso all’orario previsto per una leggerezza. Quel giorno perso, oltre a precludergli la possibilità di finire tra i primi 100 – Chesta ha concluso in 130ª posizione, con il tempo di 429 ore e 16 minuti -, ha pesato sul piano psicologico: il disegnatore meccanico della Cometto sapeva di non avere più margine d’errore. Il momento più critico, nel quale l’esperienza acquisita nei viaggi in bicicletta precedenti, come la NorthCape4000 della scorsa estate, non gli ha fatto perdere la calma, è stato una foratura in un tratto di sterrato in Bulgaria. «Mi sono accorto di non avere più camere d’aria, e di aver perso il telefono». Lo smartphone l’ha ritrovato sotto due dita di polvere, la camera d’aria l’ha rimediata da un cicloturista spagnolo in cui si è imbattuto per caso.
Il supporto a distanza dell’amico Giorgio
Tra gli incontri che non dimenticherà, quello con Willy, che l’ha ospitato a Gigen, in Bulgaria: «Lui e sua moglie mi hanno preparato una colazione e una cena che mi hanno rigenerato, e abbiamo trascorso una bella serata insieme, nonostante loro non parlassero inglese». Con l’altro cuneese al via, Giorgio Emanuel, ha condiviso quasi 8 ore sui 52 chilometri sullo sterrato del colle dell’Assietta, non il massimo per un tipo da asfalto come Chesta – anche se, a dirla tutta, si è piazzato ottavo assoluto nella classifica dei «parcours», quella con i tratti sterrati. Al checkpoint dell’Assietta Emanuel si è ritirato – dal punto di vista fisico stava bene, ma la testa ha ceduto -, e da lì in poi ha supportato Chesta a distanza: «Conoscerlo è stato uno dei più bei regali di questa gara». Chesta, rientrato ieri a Borgo con un volo da Bucarest, deve ancora metabolizzare quello che è stata la Transcontinental Race: «Da un lato in futuro mi piacerebbe rifarla (il percorso cambia ogni anno, ndr) con un’organizzazione migliore e una preparazione specifica, dall’altro mi piacerebbe vivere un viaggio in bici con tempi diversi, senza sentirmi in colpa se mi fermo per una foto».